Da "Libero"
06/11/2002
 
L’Inchiesta - 3 Perché gli esperimenti in laboratorio non sanno garanzia sull’efficacia delle cure

I TEST SULLE CAVIE NON SONO ATTENDIBILI

Le condizioni limite in cui gli animali vivono compromette la validità dagli esami

di Oscar Grazioli

L’Ingegnere, in qualità di responsabile dell’impiantistica, è dotato di un badge che gli consente di accedere a qualsiasi stanza dell'azienda, comprensivi ovviamente gli stabulari, ovvero gli edifici in cui sono contenute le gabbie dove sono rinchiusi gli animali da sottoporre a sperimentazione. Lasciamo la parola all’Ingegnere. Sono due i fattori che avrebbero colpito chiunque dotato di un minimo di sensibilità verso gli appartenenti al mondo animale, costretti a subire in totale segregazione fisica e morale, "torture2 di varia natura in nome di uno sviluppo scientifico che allo stato attuale delle nuove tecniche di sperimentazione, a mio avviso, consentirebbe maggiori benefici per il genere umano, oltre ad uno sviluppo della farmacologia meno rischiosa….ma torniamo a noi.

Entrando nell’area adibita agli stabulari del centro di ricerca farmaco-tossicologico il primo impatto procura sensazione di gelo, e non solo per la temperatura, ambientale che, come abbiamo visto, viene mantenuta spesso sotto i range del benessere per ottimizzare i costi. In un ambiente molto curato, dal punto di vista tecnologico, tutte le attività sono regolate da procedure rigide che "dovrebbero" garantire rigore assoluto per lo sviluppo scientifico al quale l’attività è mirata. In realtà a mio avviso, questo impatto serve solo a fornire ad eventuali ispettori (argomento di cui parleremo in seguito) un quadro non perfettamente coincidente con la realtà. Essere in grado di sciorinare rapporti (peraltro privi di eventuali verifiche certificate) nonché procedure operative in modo fuorviante ed in realtà, solo parzialmente applicate, non garantisce ovviamente la qualità del lavoro prodotto. Scrivo questo in quanto non vi era nessuna procedura che prendesse in esame l’aspetto comfort o benessere psicologico dell’animale sottoposto alla sperimentazione, considerandolo pura materia prima di un volgare processo produttivo, quale è in realtà la sperimentazione portata avanti da centri che prima di confrontarsi sui risultati scientifici devono far quadrare i conti della logica costi/ricavi. Non sono un ricercatore del ramo biologico, ma mi chiedo quanto possano essere considerati valori di riferimento i risultati ottenuti su di un animale stressato, se vogliamo usare un eufemismo, terrorizzato se vogliamo usare l’aggettivo appropriato. Uso questi termini non a caso perché non mi è facile cancellare dalla memoria gli occhi dei poveri cani, resi folli dal terrore, aspettando la prossima visita del ricercatore e dell’operaio di turno munito di cappio per bloccarli alle sbarre della gabbia onde consentire attività di pulizia o di manutenzione, effettuare prelievi di sangue ed altri liquidi biologici o altre attività legate alla cosiddetta sperimentazione. Occhi che, con la gola strangolata dal cappio, schizzano dalle orbite per la paura. E gli occhi dei Beagle sono grandi, come le loro orecchie. Un cucciolo di Beagle che entra a pochi mesi di vita nel laboratorio è affettuoso, ti lecca le mani, si butta a pancia all’aria per giocare. Dopo poche settimane urla dal terrore appena ci si avvicina alla gabbia, tenta di morsicare tutto, anche l’aria e ci vogliono due persone per bloccarlo contro le sbarra con il cappio. Mentre sbava e guaisce si iniettano farmaci e si fanno prelievi di liquidi organici. Psicologicamente è un rottame. Normalmente i gruppi di animali sono due o più. Ad un gruppo si somministrano il farmaco e l’altro riceve il placebo (in cui non c’è alcun farmaco). Alla fine dell’esperimento entrambi i gruppi vengono "sacrificati" (leggi ammazzati). Una volta, sotto la spinta dei dipendenti, alcuni cani del gruppo placebo, a fine esperimento vengono dati in adozione. Tornarono tutti indietro e vennero tutti uccisi perché i proprietari non riuscivano a gestirli. Erano folli senza speranza di recupero. E si badi bene. Erano quelli che neanche avevano assunto i farmaci più o meno tossici. Ora io mi chiedo mille volte, e lo chiedo a lei che è veterinario, se quegli esami del sangue, quegli esami delle urine, quegli elettrocardiogrammi abbiano un valore scientificamente attendibile. Concordo pienamente con i suoi dubbi, dell’Ingegnere, anzi ho delle certezze. La psiconeuroendocrinologia ha ormai assodato che esiste un forte legame tra cervello, ormoni e organi. Non si possono ottenere risultati attendibili da animali costretti dal terrore a scernere adrenalina, cortisolo e dopamina che alterano il loro profilo metabolico. Questa ricerca medica è folle o criminale o tutte e due, come dimostrano gli innumerevoli farmaci che vengono ritirati dal mercato perché tossici o mortali per l’uomo. Il secondo aspetto riguarda l’approccio "industriale" o commerciale che, alla base, governa la gestione manageriale dell’attività di sperimentazione eseguita per puro profit, parere questo non solo mio ma anche dei miei ex colleghi aziendali (ricercatori essenzialmente) che si sentivano ingabbiati da logiche che nulla avevano a che fare con una ricerca libera di essere sviluppata per principi e non costrizioni. In un quadro come quello appena descritto ci sarebbe la possibilità di alleviare le sofferenze subite dai poveri animali e cercare di rendere meno penoso il percorso di morte al quale sono destinati, tutto questo a favore del rigore scientifico e di un’etica che pure siamo obbligati ad avere verso di loro. Ma ciò comporta dei costi supplementari, pertanto non se ne parla e men si passa ai fatti. Ricordo due ricercatori che, un giorno, davanti alla macchinetta del caffè, mi confessarono che ne avevano viste abbastanza e, per quanto in meridione fosse difficile trovare lavoro. Se ne andavano da quel posto perché non ce la facevano a sopportare la vista dei cani. Dopo un mese mandarono la lettera di dimissioni, lo stesso giorno.

(3 – continua)

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