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VARESE NEWS
25 GIUGNO 2010
Perché mangiare gli animali?
Il testo di Jonathan Safran Foer pubblicato da Guanda (tre edizioni in poco tempo) descrive il meccanismo di produzione della carne
Andando a fare la spesa presso il solito supermercato, mi è capitato di fermarmi, dopo molto tempo, presso il reparto carni. Ho dato un’occhiata alle vaschette, tutte uguali, dove erano raccolti pezzi tutti uguali di animali tutti uguali. Il tacchino ed il maiale erano venduti a meno di cinque euro al chilo; il pollo poteva costare anche meno di tre euro. Come il pane. Questo ritorno di curiosità verso gli animali uccisi, fatti a pezzi e impacchettati, è stato suscitato dalla lettura del bel libro di Jonathan Safran Foer, pubblicato in Italia da Guanda con il titolo "Se niente importa perché mangiamo animali?". Il volume è uscito nel febbraio scorso. A marzo aveva già raggiunto la terza edizione. Il titolo originale, "Eating animals", suonava decisamente meglio. Perché di questo parla l’autore. Mettendo ordine ad una gran massa di informazioni raccolte nel corso di una ricerca durata alcuni anni, Foer affronta il tema del mangiare animali senza il dogmatismo che spesso caratterizza i convertiti. Anche quelli che da onnivori hanno scelto di diventare vegetariani. Io appartengo alla generazione di italiani nati negli anni del cosiddetto miracolo economico (sono nato nel 1961). Appartengo, cioè, alla generazione della “fettina”. La vera rivoluzione dei consumi negli anni del boom (1958-1963), ha scritto Silvio Lanaro nella sua Storia dell’Italia repubblicana, fu «la comparsa quotidiana della carne, stimolata anche da una campagna delle autorità sanitarie che si preoccupa[va]no per le carenze emopoietiche e lo scarso sviluppo antropometrico della popolazione». Il consumo annuo pro-capite di carne è passato in Italia dai 22,1 chilogrammi del 1960 ai 37,5 chilogrammi del 1970, con un incremento di circa il 70 per cento. Prima della guerra un italiano consumava mediamente in un anno 9 chili di carne bovina e poco più di 5 chili di carne suina. Poter soddisfare la domanda crescente di carne ha richiesto un aumento della produzione ed un abbattimento dei costi. L’animale è stato trasformato in merce. Un po’ quello che sta succedendo (che è già successo) per il pesce. Il pesce di allevamento copre ormai il 30 per cento del consumo globale di proteine derivanti dal pesce. Che siano vitelli, polli, maiali, tacchini o salmoni, la soluzione adottata è sempre la stessa: l’allevamento intensivo, che ha sempre e comunque le stesse controindicazioni. I salmoni, ad esempio, che troviamo sempre disponibili sui banchi di ogni supermercato vengono solitamente allevati in recinti delimitati da reti. In ogni recinto possono esserne rinchiusi anche 15mila. I salmoni, come i tonni, sono pesci carnivori e per poter produrre un chilo di carne di salmone occorrono cinque chili di aringhe o di sardine. Così, per allevare salmoni, i mari vengono impoveriti di altre specie, su cui si reggono specifici ecosistemi (oltre che piccole economie locali). Una tale concentrazione di animali in spazi così angusti favorisce il diffondersi di malattie. Anche tra i salmoni. E allora l’industria, per prevenire la mortalità della merce, aggiunge al mangime ricche dosi di antibiotici. Così, per assurdo, si fa prima a curare un’influenza mangiando un salmone. O una fetta di pollo, di tacchino, di maiale, di vitello. Purtroppo l’influenza spesso arriva proprio dagli animali che alleviamo e consumiamo. Ma molti animali producono molti escrementi. Un allevamento di salmoni, per intenderci, produce la stessa quantità di escrementi prodotta da tutta la città di Varese. L’impatto sull’ambiente è, evidentemente, enorme. Ma anche quello sulla saluta dei consumatori. Il 95 per cento dei polli (i dati si riferiscono agli Stati Uniti) risulta contaminato dalle feci. Tra il 39 ed il 74 per cento della carne di pollo che arriva nei banchi dei negozi è ancora infetta (anche se la carne, prima di essere distribuita, viene sottoposta a bagni a base di varechina). A tutto questo, si aggiunga poi la crudeltà che accompagna la breve vita di animali creati (dalla manipolazione genetica) per essere uccisi in poco tempo e presto consumati. Foer ricostruisce minuziosamente le condizioni di vita degli animali (polli, tacchini, maiali e bovini) negli allevamenti intensivi ed il modo in cui vengono condotti a morte. Vere pagine dell’orrore, che preferisco tralasciare. La nostra reazione, di fronte a tutto ciò, è ambigua. Ci preoccupiamo del nostro cane, del nostro gatto, dei nostri canarini, a cui non ci sogneremmo mai di tagliare il becco, la coda, di immobilizzarli in uno spazio angusto, di iperalimentarli sino a quando le giunture delle loro zampe non reggeranno più il loro peso. Non potremmo mai farli a pezzi mentre... sono ancora vivi. Eppure questi sentimenti non riusciamo ad estenderli a tutto il mondo animale. Né proviamo indignazione o ci opponiamo alle pratiche della moderna zootecnia industriale. Kafka, raccontò il suo amico Max Brod, aveva scelto di essere vegetariano. Osservando i pesci nelle vasche dell’acquario di Berlino, pare avesse detto: «Adesso posso guardarvi tranquillamente, non vi mangio più». Finalmente non provava più vergogna.
DIRITTI GLOBALI
25 GIUGNO 2010
La sofferenza degli animali. La scienza racconta la nostra crudeltà
Secondo Coetzee è uno sterminio che rivaleggia con quelli del Terzo Reich
25 Giugno 2010
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I motivi etici e biologici dell´essere vegetariani Ripubblicato il libro-manifesto di Peter Singer Nel 1997 lo scrittore John Coetzee fu invitato dall´Università di Princeton a tenere le prestigiose Tanner Lectures. Poteva parlare di ciò che voleva, purché l´argomento riguardasse «la comprensione del comportamento e dei valori umani». Sorprendendo tutti, decise di leggere due racconti su La vita degli animali (Adelphi, 2000). La protagonista dei racconti era una scrittrice australiana di nome Elizabeth Costello, che veniva invitata da un´università statunitense a parlare di ciò che voleva. Sorprendendo tutti, ella decise di discutere della vita degli animali.
Ciò che Coetzee fece concludere al suo doppio immaginario nelle Tanner Lectures, a proposito dell´uso degli animali come alimentazione e sperimentazione, fu: «Siamo circondati da un´impresa di degradazione, crudeltà e sterminio in grado di rivaleggiare con ciò di cui è stato capace il Terzo Reich. Anzi, in grado di farlo apparire poca cosa al confronto, poiché la nostra è un´impresa senza fine, capace di autogenerazione, pronta a mettere incessantemente al mondo conigli, topi, polli e bestiame con il solo obiettivo di ammazzarli».La vita degli animali è un libro potente, che però persevera nel peccato originale di tutta la letteratura: narra storie inventate su esseri immaginari che popolano un mondo di fantasia. Dunque, non può produrre alcun effetto significativo e duraturo sulla vita di persone reali che vivono nel mondo reale. Non per nulla il bioetico Peter Singer, che nel libro fa il controcanto a Coetzee, dichiara esplicitamente: «Dite pure che sono antiquato, ma preferisco tenere verità e finzione ben separate».
La sua dichiarazione è particolarmente rilevante, perché Singer è l´autore del libro-manifesto Liberazione animale, uscito per la prima volta nel 1975, e appena ripubblicato in una nuova edizione aggiornata dal Saggiatore. Un documento-verità, appunto, che lungi dal limitarsi agli effetti soporiferi delle storie-finzioni, ha risvegliato nel mondo intero una concreta sensibilità nei confronti delle sofferenze e dei diritti degli animali. Da filosofo, Singer inizia analizzando le due tradizioni occidentali nei confronti degli animali. Quella maggioritaria, di sfruttamento e dominio in nome della supposta superiorità umana, che a partire dalla Genesi passa attraverso Aristotele e Tommaso d´Aquino, per arrivare fino a Cartesio e Kant. E quella minoritaria, di rispetto ed empatia in nome della comune appartenenza all´albero della vita, che risale a Pitagora e continua con Hume e Voltaire, per arrivare a Bentham e Darwin. I capitoli fondamentali del libro sono però quelli che buttano in faccia alle anime semplici, che credono che amare gli animali significhi coccolare cani e gatti, o inorridire per le corride e i massacri delle foche, i dati e i fatti relativi all´uso delle bestie nella sperimentazione e nell´alimentazione. In particolare, Singer racconta in dettaglio le vite, le sofferenze e le morti da lager che ogni anno sono costretti a subire i miliardi di animali (dieci nei soli Stati Uniti, una volta e mezza la popolazione mondiale!) la cui carne e i cui prodotti finiscono sulla nostra tavola e nelle nostre pance: polli, vitelli, maiali, conigli, tacchini, uccelli e pesci da un lato, e galline da uova e mucche da latte dall´altro. Tutti esseri che, anche se non parlano e non pregano, comunque sentono e soffrono, e lo dimostrano in maniera straziante a chiunque si prenda la briga di andare a visitare i luoghi indecenti in cui vengono stipati e allevati industrialmente. Singer dedica quasi tutta la sua attenzione al problema etico sollevato dall´uso degli animali, soprattutto come alimentazione, e tocca solo di sfuggita due aspetti che sono altrettanto importanti. E forse anche più convincenti, per lo meno in un mondo che è insensibile all´etica e alla moralità persino nei riguardi degli uomini: figuriamoci degli animali. Il primo aspetto è economico: affinché noi possiamo mangiare gli animali, questi devono mangiare i vegetali. La maggioranza delle coltivazioni mondiali viene dunque dedicata alla produzione dei mangimi, con un duplice dispendio. Di efficienza, perché l´energia del Sole immagazzinata dalle piante viene utilizzata solo indirettamente, attraverso la carne che l´ha già utilizzata, invece che direttamente, attraverso i vegetali. E di costo, perché gli animali che mangiano i vegetali sono ovviamente più cari dei vegetali stessi. Detto con uno slogan: «La carne vale meno dei vegetali, ma costa di più». Il secondo aspetto è biologico: il nostro intestino è lungo, come quello degli erbivori, e non corto, come quello dei carnivori. Il che significa, anzitutto, che non è la natura a imporci di mangiar carne, bensì la cultura (se vogliamo chiamarla così). Ma significa anche, e soprattutto, che il nostro intestino non è adatto alla digestione della carne, che infatti vi sosta molto più a lungo, e vi si decompone molto più a fondo, dei vegetali. Il risultato è un´alta incidenza del cancro al colon nelle società che mangiano molta carne, come le occidentali, e una bassa o nulla incidenza in quelle che ne mangiano poca o niente, come le africane e le orientali. Per legge si dovrebbero dunque avvisare i consumatori, così come già si avvisano i fumatori, apponendo sui prodotti di macelleria l´avviso: «La carne uccide». Senza il supporto delle testimonianze raccolte nell´esplosivo libro di Singer, i potenti racconti di Coetzee rimarrebbero vuota invenzione letteraria. Alla luce di quelle, acquistano invece un valore di requisitoria processuale. Lasciamo dunque a lui l´ultima parola: quella che disse il 22 febbraio 2007, quando fu invitato al congresso Sento, dunque sono organizzato da Voiceless ("Senza voce"), un istituto australiano per la protezione degli animali. Questa volta lo scrittore fece il contrario che alle Tanner Lectures di dieci anni prima: non ci andò, ma mandò un proprio testo, che fu letto in apertura da un suo doppio reale. E la sua conclusione, sulla quale ci farà bene meditare, fu: «Quando abbiamo scoperto che i nazisti ebbero la brillante idea di adattare i metodi dell´allevamento industriale, inventati e perfezionati a Chicago, al macello (che essi preferirono chiamare lavorazione) degli esseri umani, abbiamo naturalmente gridato d´orrore: Che crimine terribile, trattare esseri umani come bestie! Ma avremmo fatto meglio a gridare: Che crimine terribile, trattare esseri umani come ingranaggi di un processo industriale! E quel grido avrebbe dovuto avere un poscritto: Che crimine terribile, a ben pensarci, trattare esseri viventi come ingranaggi di un processo industriale!».
L'ARENA
25 GIUGNO 2010
Tre cavalli nel fango, il gip riapre il caso
Provincia di Verona - Rischiava di finire in soffitta la vicenda dei cavalli maltrattati nel maneggio di via Villa Bure a san Michele Extra. La procura aveva chiesto l’archiviazione del procedimento a carico del proprietario L.G. con l’accusa di maltrattamenti di animali. Ieri, il gip Rita Caccamo ha ordinato alla procura di formulare l’imputazione coatta, riaprendo così l’inchiesta. A opporsi all’archiviazione del fascicolo, era stata la Lega antivisezione, assistita dall’avvocato Manuela Pasetto. Era stata l’associazione a denunciare la situazione di quei cavalli, custoditi in riva all’Adige. «I 3 animali» riportava una nota della Lav di gennaio, «vivevano con le zampe immerse nel fango, nelle pozze d’acqua e in una grande quantità di escrementi». Il proprietario di tre cavalli, difeso da Simone Ghirotto, aveva depositato anche delle foto per dimostrare la sua innocenza. Ma non è bastato. Ora si attende l’udienza preliminare.
LA NUOVA FERRARA
25 GIUGNO 2010
«Animali ammalati e dati falsi per questo l'attività era illegale»
MIRABELLO (FE). E’ agli sgoccioli il processo ‘Animalandia’ che vede a giudizio cinque imputati (Marco Ferraresi, Elisa Pocaterra, Michela Zucchini, Violetta Chiodi e il veterinario Vittorio Mantovani) accusati di frode in commercio, falso e associazione a delinquere. Ieri il pm Barbara Cavallo ha iniziato la sua requisitoria, che concluderà nella prossima udienza, il 15 luglio prossimo. Ha così fornito i primi elementi che - ad avviso del magistrato - confermano le responsabilità degli imputati. Il pm ha ricordato alcuni passaggi significativi delle deposizioni dei testi e ha spiegato al collegio dei giudici (Caruso presidente, Marini e Attinà a latere) perchè nel negozio di Mirabello veniva svolta un’attività illegale. Ha sottolineato che, anche in base alle dichiarazioni di consulenti sentiti a dibattimento, i gestori vendevano animali che avevano un’età inferiore a quella dichiarata e a quella prevista dalle norme internazionali, con problemi per le vaccinazioni. Si è anche soffermata sulle contestazioni presentate da alcuni acquirenti, che avevano notato «cancellazioni e alterazione dei dati» sul passaporto degli animali importati dall’est europeo, ma anche pedigree falsi o l’assenza del microchip. Ma il capitolo più forte della requisitoria è stato quello dedicato allo stato di salute degli animali. Alcuni cuccioli, stando alle dichiarazioni (definite «coerenti ed univoche») dei testi (considerati «attendibili»), erano morti dopo pochissimi giorni dall’acquisto. Gli acquirenti tornavano in negozio dopo aver constatato lo stato di malattia dell’animale, colpito da funghi o dermatite allergica, da diarrea o vermi, parvovirosi, definito «maleodorante» e talvolta talmente malato da morire entro pochi giorni. A queste proteste i gestori ribattevano «negando tutto» e in qualche caso accusando gli acquirenti di avere ucciso loro l’animale e «rifiutando i rimborsi». Venivano contestate anche le autopsie eseguite su ordine degli acquirenti, ai quali si diceva di consultare il veterinario di fiducia del negozio. La difesa rappresentata dagli avvocati Massimiliano Bacillieri e Luca Esposito esporrà le sue tesi il prossimo settembre.
VIRGILIO NOTIZIE
25 GIUGNO 2010
Balene/ Nelle loro carni accumulo metalli pesanti senza precedenti
Risultati shock di ricerca Usa
Agadir, Marocco - Un gruppo di scienziati americani che ha passato cinque anni arpionando quasi mille capodogli per raccogliere campioni di tessuto ha scoperto livelli impressionanti di metalli pesanti tossici nella carne degli animali. I livelli di cadmio, alluminio, cromo, piombo, argento, mercurio e titanio messi insieme sono i più elevati mai riscontrati in un mammifero marino, affermano gli studiosi, i quali sostengono che sono a rischio sia la vita negli oceani sia la salute di chi mangia pesce. L'analisi delle cellule dei capodogli dimostra che l'inquinamento ha raggiunto gli angoli più remoti degli oceani, dalle profondità polari al nulla dei mari equatoriali, dice il biologo Roger Payne, fondatore e presidente di Ocean Alliance, che ha condotto la ricerca. "L'intera vita degli oceani è pervasa di contaminanti e la maggior parte di essi è stata dispersa dall'uomo" spiega Payne in un'intervista a margine dell'assemblea della Commissione baleniere internazionale. "Penso che questi contaminanti stiano minacciando l'alimentazione umana. Certamente minacciano le balene e altri animali marini". Secondo l'esperto i metalli pesanti potrebbero essere contenuti nel pesce, che rappresenta una fonte primaria di proteine per un miliardo di persone. "Si potrebbe sostenere che è la più grande minaccia singola per la salute mai affrontata dalla specie umana. Ritengo che accorcerà molte vite, se accadrà quello che temiamo". Payne, 75 anni, è noto per le prime registrazioni, nel 1968, delle canzoni delle megattere e per la scoperta del fatto che alcune specie di balene possono comunicare tra di loro a lunga distanze.Il ketch "Odyssey", con a bordo il gruppo di scienziati, era partito nel 2000 da San Diego, in California, per dcumentare la salute degli oceani raccogliendo campioni di tessuto dei capodogli che si avventurano in tutti i mari del mondo, dai poli ai tropici. Come gli umani, sono in cima alla catena alimentare marina. In agosto 2005 aveva raccolto campioni della grandezza di una gomma per cancellare da 955 cetacei, utilizzando un arpione che non disturbava gli animali. I campioni sono stati poi analizzati dal tossicologo marino John Wise dell'Università del Maine meridionale. E' stato anche confrontato il Dna per garantire che due campioni non provenissero dallo stesso animale. L'obiettivo del viaggio era di misurare i composti chimici noti come inquinanti organici persistenti, ma in un secondo tempo si è cominciato a studiare i metalli. I ricercatori sono rimasti sbalorditi dai risultati. Anche se era impossibile sapere in quali mari fossero stati i cetacei, i metalli pesanti erano presenti nel grasso che si forma nelle rigide zone polari, il che indica che i metalli erano stati ingeriti molto lontano dal luogo di dispersione in acqua. "Quando lavori con un composto sintetico mai esistito in natura e lo trovi nel corpo di una balena che proviene dall'Artico o dall'Antartico, ti dice che è stato prodotto dagli uomini ed è arrivato all'interno della balena" spiega Payne. Come ciò sia accaduto non è chiaro, ma i contaminanti probabilmente sono stati trasportati dalle correnti o dal vento. "La sorpresa più grande è stata il cromo" dice Payne. "E'stato uno shock assoluto. Non lo cercavamo neppure". Il cromo, un metallo resistente alla corrosione, si usa nell'acciaio, nelle vernici, nei coloranti e nella concia delle pelli e può causare il cancro ai polmoni in chi vi è a contatto per lunghi periodi. Wise ha applicato del cromo a cellule sane di capodoglio e ne ha studiato gli effetti, rilevando che la concentrazione di metallo trovata negli animali è molto più elevata di quella che basta ad uccidere le cellule in laboratorio. Un'altra sorpresa è stata la presenza di alluminio, usato nel packaging, nelle pentole e nel trattamento delle acque, i cui effetti sono sconosciuti. Payne spiega che gli inquinanti passeranno alle generazioni future, con il latte che le madri danno ai loro piccoli. "Ma quel che fanno in realtà è di dare ai loro figli sostanza solubili nel grasso accumulate da una vita". Le conseguenze potrebbero essere tremende per i cetacei e l'uomo. "Non vedo altro futuro per le balene se non l'estinzione. Ma non è una priorità per nessuno, per nessun governo e invece dovrebbe esserlo" conclude lo scienziato.
LA STAMPA
25 GIUGNO 2010
Balene. Fondatore Ong Sea Shepherd ricercato da Interpol
Watson accusato di aver messo a rischio vita marinai giapponesi
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Tokyo - Paul Watson, fondatore dell'organizzazione animalista Sea Shepherd, è sulle liste dei ricercati dell'Interpol su richiesta delle autorità giapponesi: lo ha reso noto la Guardia Costiera nipponica. Il 59enne Watson - cittadino canadese e che al momento sarebbe irreperibile - è ricercato con l'accusa di aver ostacolato le attività giapponesi di caccia alle balene nell'Oceano Antartico mettendo a rischio la vita dei marinai. Nel febbraio scorso i marinai giapponesi della baleniera "Shonan Maru 2" avevano accusato il gruppo ambientalista di aver provocato tre feriti a bordo della nave; secondo Watson - che comandava l'imbarcazione della Sea Shepherd protagonista dell'incidente avvenuto nell'Antartico - i pescatori sarebbero in realtà rimasti vittime delle loro stesse armi. Secondo il racconto di Watson, le immagini girate durante lo scontro mostrano come due marinai abbiano sparato dello spray al pepe contro gli attivisti: a causa del vento contrario tuttavia la tattica ha avuto l'effetto inverso a quello sperato, provocando lesioni agli occhi e al viso a tre marinai che si trovavano sul ponte della baleniera. L'equipaggio aveva accusato i membri di Sea Shepherd di aver lanciato contro i marinai del burro rancido - tattica utilizzata per "marchiare" le baleniere - contenente dell'acido butirico, sostanza irritante. Il Giappone dispiega nell'Antartico un flotta di sei baleniere come parte di un programma di ricerca autorizzato dalla Commissione Internazionale Baleniera: caccia prevalentemente delle balenottere minori, specie non considerata a rischio di estinzione; la carne non destinata allo studio viene però venduta sul mercato giapponese (in deroga al divieto di caccia per scopi commerciali in vigore dal 1986), il che viene ritenuto il vero movente dell'attività. Ogni anno l'ong statunitense Sea Shepherd invia delle imbarcazioni per contrastare le baleniere, cercando di impedire loro di lanciare gli arpioni.
SAVONA NEWS
25 GIUGNO 2010
Savona: una mail dell'ENPA sull'emergenza gabbiani
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Savona - Riceviamo e pubblichiamo una mail dell'ENPA a proposito dell'"emergenza gabbiani".E’ assoluta emergenza “gabbiani in difficoltà” a Savona. In pochi giorni i volontari della Protezione Animali hanno dovuto soccorrere 100 volatili, soprattutto in riviera, feriti dalle auto o che hanno ingoiato ami e lenze abbandonati dai pescatori sulle spiagge, o caduti dai nidi ed ancora incapaci di volare.
L’ENPA ha dovuto velocemente attrezzare alcune voliere in zone riparate di campagna, dove ospitare gli animali in convalescenza o in crescita, mentre i pochi volontari all’opera stanno sostenendo turni massacranti per le cure e le necessarie pulizie presso la sede di Savona, dove affluiscono in media dieci selvatici in difficoltà al giorno. L’associazione rilancia l’appello a quanti amano gli animali, non solo a parole, ad offrire la loro collaborazione partecipando alle attività pratiche dopo un breve tirocinio. Ancora peggiore l’atteggiamento delle “istituzioni”. Occorrerebbe infatti uno spazio ricavato sui moli del porto o in riva al mare, dove accudire i gabbiani finché non sono in grado di volare via; l’ENPA lo scorso anno lo aveva chiesto agli enti proprietari del fronte mare (Comune, Autorità Portuale, Capitaneria, Vigili del Fuoco, etc.) ma, a parte una bella lettera dell’assessore savonese ai quartieri Lirosi, nessuno ha neppure risposto; eguale esito ha avuto la proposta avanzata alla casa circondariale di Sant’Agostino di avere a disposizione qualche carcerato “animalista” (vedi Alcatraz); e quest’anno anche la Fondazione CARISA ha voltato le spalle all’ENPA, negando l’infinitesimo contributo di 1.5000 euro, mentre quello garantito (e non ancora elargito) dalla Provincia, titolare dei soccorsi, si sta rivelando largamente insufficiente a pagare medicine, veterinari, cibo e mezzi. Agli stanchi volontari dell’ENPA, associazione privata ed onlus che mai ha ricevuto contributi statali, non resta che svolgere l’attività, molto apprezzata dai turisti, con i propri mezzi e mettendo mano ai portafogli personali, un classico a Savona. P.S: Nel caso qualcuno sollevasse il problema del “pericolo” dei gabbiani: Il problema dei gabbiani, specie intelligente in espansione e crescita numerica nelle città, dovrebbe essere affrontato con maggiore equilibrio: sono grossi e defecanti ma non sono pericolosi, neppure quando, per difendere i piccoli, svolazzano attorno alle persone strillando ma senza mai toccarle (per allontanarli basta alzare ed agitare le braccia). Per “fare qualcosa” di efficace occorre capire perché si sono spostati dalle spiagge e scogliere marine alle scogliere (palazzi) cittadine. Per farveli ritornare potrebbe essere utile preservare ciò che è rimasto della costa e difendere gli animali marini di cui si cibano; oltre a gestire meglio le discariche ed eliminare quelle abusive, occorrerebbe quindi vietare la pesca sub e sportiva da terra e la raccolta da riva di frutti di mare e pesciolini. A volte si vedono giovani gabbiani in apparente difficoltà sulle spiagge; ma i genitori sono vicini e li assistono nelle loro prime goffe e brevi prove di volo; conviene quindi osservarli da lontano e soccorrerli soltanto se, entro due ore, non si è avvicinato nessun adulto. L’ENPA ricorda inoltre che è vietato distruggere i nidi di qualsiasi volatile, anche se sono stati costruiti durante l’assenza dei proprietari su un terrazzo o sul tetto di un condominio. Basterà attendere pochi giorni e genitori e piccoli voleranno via, sistemando eventualmente una paratia di semplice cartone attorno al nido.
IL TIRRENO
25 GIUGNO 2010
Gabbiani, troppi e aggressivi
Melisanda Massei Autunnali
PIOMBINO (LI). «In linea di massima, mi sembra che il problema del rapporto tra gabbiani e cittadini sia sensibilmente migliorato e che questi uccelli siano tornati a colonizzare le falesie, cambiando il loro comportamento: del resto non siamo in grado di segnalare nessuna notizia sul peggioramento del problema». A parlare è Marco Chiarei, assessore alle politiche ambientali. Sulla straripante presenza dei gabbiani sul nostro territorio, non ha dubbi che il piano elaborato dal Wwf alcuni anni fa e messo in atto dal Comune bbia fornito buoni risultati, riducendo sensibilmente gli episodi di fastidio che in precedenza si erano verificati soprattutto in alcune zone della città più vicine alla costa. Eppure non tutti sono d’accordo con lui. Soprattutto in questo periodo, che coincide con la nidificazione, per molti cittadini i gabbiani sono ancora troppi e non propriamente esenti da piccoli e grandi incomodi nei confronti delle attività quotidiane: il disagio prodotto dal loro tipico verso, soprattutto nelle ore notturne, ma anche l’impossibilità di stendere semplicemente dei panni all’aperto senza correre il rischio di ritirarli sporchi. «Riceviamo segnalazioni di continuo - aggiungono dall’ufficio di gestione condominiale di Walfredo Matteoni - E’ un problema rilevante, sebbene sia giusto osservare che alcune zone, come quella di Salivoli, ne sono quasi completamente escluse». Qualche difficoltà la osserva anche Davide Vitale, che si occupa di installazione e riparazione di antenne per la ditta Crisat: «A creare problemi è la presenza dei nidi: se si trovano a distanza rispetto al punto in cui devo lavorare, non ci sono impedimenti, ma se sono vicini il rischio è che qualsiasi movimento provochi lo scatto di una vera e propria catena di gabbiani, con conseguenze anche pericolose». L’assessore Chiarei in effetti non nega che determinati inconvenienti siano stati discussi in ambiti privati e condominiali: la sua attenzione, semmai, si rivolge a zone frequentate come il cimitero, dove l’installazione di reti ha quasi totalmente allontanato gli uccelli. Una percezione nel miglioramento di questo stato di cose arriva anche dal Wwf, il cui vademecum si è rivelato, come detto, prezioso verso alcuni problemi. «Questo però non esclude - spiega il presidente Paolo Politi - che a Piombino ci siano ancora da 80 a 150 coppie di gabbiani e che il numero salga a quattro-cinquecento unità nella zona della discarica di Ischia di Crociano al momento delle operazioni di smaltimento dei rifiuti». Dal momento in cui, aggiunge Politi, questi animali vivono tendenzialmente dove hanno una maggiore disponibilità di cibo, diventa necessario da parte di cittadini rispettare alcune misure essenziali, cioè, il divieto assoluto, sancito dal regolamento di polizia locale, di somministrare ai gabbiani (e ai piccioni) qualsiasi tipo di alimento: «Purtroppo ancora molte persone non rispettano queste regole: a creare difficoltà sono soprattutto gli scarti del mercato coperto e di quello settimanale, oltre alla pratica di ripulitura delle reti dei pescherecci. Dai traghetti, inoltre, vengono gettate in mare tonnellate di pane. Questi comportamenti devono essere assolutamente scoraggiati: non c’è altro modo per allontanare i gabbiani, che ricordiamo, sono animali protetti. Né loro, né i loro nidi possono essere in alcun modo toccati».
IL TIRRENO
25 GIUGNO 2010
La brutalità non risolve il problema
PIOMBINO (LI). Trasferire i gabbiani, ma evitando criteri violenti e brutali. Giorgio Celli, famosissimo etologo, non mostra stupore nei confronti della massiccia presenza di questi uccelli in una città come Piombino: «I gabbiani non sono solamente degli uccelli marini. Anche la discarica di Milano è piena di gabbiani e Milano non ha il mare. Questi animali amano la città e non temono l’uomo: tuttavia sono piuttosto aggressivi, voraci, rapaci, sebbene non in senso classico. Beccano facilmente: e anche cercare di allontanarli quando si posano, per esempio, su un terrazzo, non è prudente se non con una scopa, mai con le mani, e cercando di non far loro del male». A fronte di una loro proliferazione eccessiva, aggiunge Celli, un buon rimedio può essere quello di rimuovere le uova dai nidi, «con criterio, in primo luogo perché molti cittadini sono animalisti e non possono essere offesi nel loro sentimento da metodi violenti e brutali. In alcune città si era pensato di avvelenare le uova con delle iniezioni, in altre si sono attuati stermini di massa: ecco, a me questo appare terribile». L’etologo giudica invece buone le misure prese dal comune di vietare la somministrazione di cibo: «Bisognerebbe anche cercare di fare delle discariche un po’ più protette: solitamente sono a cielo aperto e diventano quindi dei self-service di cibi marci». Quella che però sarebbe davvero necessaria, conclude Celli «è una lezione di educazione nei confronti dei uomini alla convivenza con gli animali. Ho visitato Piombino anni fa per una conferenza su Darwin e, sebbene mi dispiaccia dirlo, ho avvertito una brutalità diffusa. Gli uomini si allargano sul pianeta in maniera egemone e anche, oserei dire, scriteriata: dovrebbero invece imparare a valutare l’esistenza degli animali, a tollerarla e a trasmettere questo sentimento ai propri figli».
VARESE NEWS
25 GIUGNO 2010
Torna libero l'allocco avvelenato
L'animale era stato trovato in fin di vita dai volontari della protezione animali di Bellinzona. Ora è guarito ed è stato rimesso in libertà
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È tornato in libertà dopo una brutta avventura "Sirio", l'allocco salvato dai volontari della protezione animali di Bellinzona. Il rapace era stato trovato in fin di vita dopo aver ingoiato un topo avvelenato. A trovarlo è stata una famiglia a Morcote in Canton Ticino che ha creduto nel miracolo e ha consegnato la povera bestiola al centro di cura per animali selvatici dell'associazione ticinese.
L'animale in effetti si è ripreso e dopo quasi quattro mesi, ieri sera ha ripreso il possesso del suo territorio nel bellissimo giardino delle meraviglie, ai piedi del Monte Arbostora. Il suo canto gutturale, è stato udito la scorsa notte risuonare sopra le case del caratteristico villaggio del Ceresio. L'allocco è un uccello rapace della famiglia degli strigidi. È un animale notturno diffuso anche in Italia e in tutta l'Europa. Si nutre, come il gufo comune, di piccoli mammiferi in particolare i topi ma anche scoiattoli, ghiri, donnole, uccelli vari, anfibi e anche invertebrati.
IL GIORNALE
25 GIUGNO 2010
Come vivere con «Fido» in condominio
La detenzione di animali domestici deve sempre essere denunciata in Prefettura
Proseguiamo con la seconda parte dell’articolo di Andrea Merello sul tema degli animali in condominio. La prima puntata era stata pubblicata venerdì 28 maggio 2010 su queste pagine.
L’obbligo di custodire e di governare animali dotati di naturale ed istintiva ferocia o che in determinate circostanze possano diventare pericolosi ed aggressivi incombe sul detentore a qualsiasi titolo. La Cassazione (n° 2333 del 7/9/1966 ha deciso che il comportamento dannoso di animali causato da impulsi propri della loro natura ancorché imprevedibili ed inevitabili non costituiscono caso fortuito e quindi non esonera la responsabilità dei loro proprietari. Il fenomeno del randagismo è preso in esame dalla legge n° 281 del 14 agosto 1991 (legge quadro in materia di animali di prevenzione dal randagismo si pongono i presupposti per favorire una corretta convivenza rea l’uomo e gli animali tutela la salute pubblica e l’ambiente condannando atti di crudeltà maltrattamenti e prevedendo sanzioni a carico di chi abbandona animali (da trecentomila lire ad un milione di vecchie lire). Il legislatore ha emanato apposite norme in materia di animali pericolosi (Decreto del ministero dell’Ambiente del 19 aprile 1966 in attuazione della legge 7 febbraio n° 150 riguardante il commercio internazionale delle specie di animali e vegetazione in via d’estinzione e la commercializzazione e la detenzione di mammiferi e rettili vivi che possono costituire pericolo per la salute e la pubblica incolumità e di cui è proibita la detenzione. Il Decreto del Ministero dell’ambiente recita testualmente «sono da considerare potenzialmente pericolosi per l’incolumità e la salute pubblica tutti gli esemplari vivi di mammiferi e rettili selvatici ovvero provenienti da riproduzione in cattività che in particolari condizioni ambientali e/o comportamentali possono arrecare con la loro azione diretta effetti mortali o invalidamenti per l’uomo o che non sottoposti a controlli sanitari o a trattamenti di prevenzione possono trasmettere malattie infettive all’uomo». La detenzione di tali animali deve essere denunciata alla Prefettura ove sono tenuti gli animali compilando l’apposito modulo ed esibendo la ricevuta attestante l’avvenuto versamento previsto dalla normativa stessa. Le sanzioni conseguentemente previste per gli inadempienti sono l’arresto fino a tre mesi e l’ammenda da quindici a venti milioni delle vecchie lire.
LA ZAMPA.IT
25 GIUGNO 2010
Piemonte, le doppiette entrano nei parchi
La Regione: squadre di cacciatori per bloccare le specie nocive
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ALESSANDRO MONDO
Troppe presenze, troppi danni alle coltivazioni, troppo alti i costi dei risarcimenti. Senza considerare gli incidenti stradali correlati all’aumento degli animali in movimento sul territorio. Quanto basta per spingere la Regione a disporre un giro di vite anche nei parchi, nelle aree protette e nelle riserve naturali. La cornice è la legge 19 che regola la gestione di queste enclave in tutti i loro aspetti: approvata dal Consiglio regionale a giugno 2009 e ora in fase di modifica da parte della nuova giunta, tra le prime polemiche, che non a caso ne ha differito a fine anno l’entrata in vigore. Gli strumenti sono due: il massiccio ricorso a squadre di cacciatori in appoggio alle guardie venatorie e l’intensificazione dei «piani di abbattimento selettivo» (senza tetti prestabiliti al numero dei capi abbattuti) per rimediare al proliferare di specie «nocive». In primis il cinghiale. Parola di William Casoni, l’assessore competente, che a pochi giorni dall’arrivo in giunta della legge riveduta e corretta anticipa una delle novità. Il senso è quello di una svolta che presumibilmente farà insorgere gli ambientalisti ma otterrà il plauso dei coltivatori. Anche la Provincia non guarda con sfavore alla riproposizione nelle aree protette, in forma più rigida rispetto a quanto già previsto dal vecchio e superato testo del ‘90, dei piani di abbattimento con l’ausilio dei cacciatori. Squadre a supporto delle guardie venatorie, mobilitate e coordinate sotto la supervisione delle autorità dei parchi. «Le guardie, da sole, sono insufficienti - spiega Casoni -. E’ tempo di affrontare in maniera decisa l’aumento di specie che migrano verso le aree protette contando su una sostanziale tranquillità. Sono le stesse che sovente finiscono per fare il percorso all’inverso. Irrobustite di numero, si riversano oltre i confini dei parchi, danneggiando i campi e mettendo a rischio la sicurezza stradale». Fanno fede i dati della Provincia sull’incidentalità correlata alla fauna selvatica. «I dati del 2009 - si legge nella brochure che illustra la campagna di sensibilizzazione lanciata da Palazzo Cisterna - confermano la necessità di mantenere alto il livello di attenzione considerando che si sono avuti 298 incidenti con il coinvolgimento di caprioli, cinghiali, camosci, cervi e daini». Più in generale, la gamma degli animali considerati nocivi - per i danni che causano e talora per il prevalere sulle specie autoctone (è il caso della «mini-lepre») - promette di allargarsi: anche questa è una novità. Casoni cita il cormorano, presente nel Parco del Po e ai Laghi di Avigliana, ma il discorso potrebbe riguardare volatili come la cornacchia e il piccione torraiolo oppure la nutria, insediata nel Parco del Po, in quello della Mandria e al Lago di Candia. Nelle intenzioni della Regione, spetterà alle autorità dei parchi il compito di individuare gli animali sui quali concentrare i piani di abbattimento. Poi la parola passerà alle doppiette, senza troppe remore.
IL GAZZETTINO
25 GIUGNO 2010
Era morta probabilmente da qualche giorno la tartaruga marina
Porto Tolle (RO) - Era morta probabilmente da qualche giorno la tartaruga marina della specie Caretta caretta che mercoledì, nel primo pomeriggio, i poliziotti della squadra nautica del commissariato di Porto Tolle hanno trovato spiaggiata sul litorale di Barricata non lontano dalla foce del Po di Tolle, nella zona nota come Busa Bastimento. L’animale, una specie protetta, aveva dimensioni ragguardevoli, circa un metro per sessanta centimetri, ed era in iniziale stato di decomposizione. Trattandosi di una specie protetta, il personale del commissariato ha subito avvertito il corpo forestale dello Stato e il servizio veterinario dell’Ulss 19 di Adria oltre che la Guardia costiera. Le carcasse delle tartarughe di questo tipo devono essere smaltite secondo particolari procedure per evitare l’utilizzo illecito del carapace, ma al momento non è stato possibile il trasporto in uno dei centri specializzati.
LECCE PRIMA
25 GIUGNO 2010
A PESCA ILLEGALE DI "COZZA PENNA": BECCATI TRE SUB
Sorpresi dalla polizia nautica mentre pescavano 35 esemplari della specie di mollusco bivalvo denominato “pinna nobilis” nello specchio d’acqua della Baia di Gallipoli, a mezzo miglio dalla costa
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GALLIPOLI (LE) – Con la stagione estiva si intensificano in controlli da parte delle forze dell’ordine mirati a contrastare le pesca di frodo che si compie soprattutto sui fondali del mare ionico. D’altronde il mercato clandestino non conosce regole e la richiesta di prodotto ittico a rischio estinzione per i palati buongustai, vedi molluschi, è alto. Un danno all’ambiente che trova come contropartita un esiguo introito, considerato che il ricavo da un mollusco è di pochi euro.E così, nell’ambito dei controlli svolti quotidianamente dalla Squadra nautica della Questura di Lecce, gli agenti imbarcati sui mezzi nautici della polizia, hanno denunciato tre pescatori non professionisti, tutti di Gallipoli. I tre sono stati sorpresi in flagranza del reato mentre pescavano, servendosi di apparecchiature da sub, 35 esemplari della specie di mollusco bivalvo denominato “pinna nobilis”.Il tutto, nello specchio d’acqua della Baia di Gallipoli, a circa mezzo miglio dalla costa. I molluschi, purtroppo, una volta pescati dai sub sono stati sgusciati e il contenuto versato in un recipiente per un peso complessivo di 7 chilogrammi. I molluschi sequestrati sono stati classificati da un veterinario della Asl di Lecce e successivamente rigettati in mare.
La pinna nobilis, detta anche “cozzapenna” o “nacchera” è il più grande bivalve del mediterraneo, e vive su fondali sabbiosi e fangosi in particolare tra le praterie di poseidonia ad una profondità da pochi metri fino a 40, 50 metri. La cattura degli esemplari sequestrati comporta un gravissimo danno per l’intero habitat biologico marino in quanto la crescita della pinna nobilis è molto lenta (è pari a circa un centimetro all’anno) e la densità di popolazione e’ pari ad un esemplare ogni 10 metri quadrati. Inoltre, i vari tentativi di reimpianto nel fondale marino delle “pinna nobilis” una volta sequestrate ma ancora in vita, raramente sono andati a buon fine. I reimpianti peraltro ora sono resi impossibili in quanto le nuove tecniche di pesca di frodo comportano lo sgusciamento del mollusco appena raccolto dal fondale dalle valve e l’occultamento dello stesso in piccoli recipienti onde riuscire meglio a sottrarlo ad eventuali controlli o camuffarlo con altri prodotti ittici non soggetti a tutela. Il che decreta la morte dell’animale.La sottrazione di tale specie comporta un impoverimento della biodiversita’ marina con danno all’habitat in cui vive ed in particolar modo nei confronti delle praterie della pianta denominata “poseidonia”.
ADN KRONOS
25 GIUGNO 2010
Animali: ritrovato nel siracusano calamaro di 110 cm, pesa 22 Kg
Siracusa - La Capitaneria di Porto di Portopalo di Capo Passero, in provincia di Siracusa, ha ritrovato morto in mare un calamaro gigante di 110 cm di lunghezza e del peso di 22 chili. Il ritrovamento e' avvenuto durante un pattugliamento dello specchio acqueo antistante localita' ''Granelli'', vicino alla foce del pantano Longarini, nel Comune di Pachino.
BARI MIA
25 GIUGNO 2010
Siracusa, raccolto calamaro gigante: è lungo più di 1 metro e pesa 20 chili
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Siracusa - Sembrava di essere all'interno del romanzo di Jules Verne "Ventimila leghe sotto i mari", quando i militari della Capitaneria nel mare di fronte Porto Portopalo di Capo Passero, in provincia di Siracusa, raccolgono un calamaro lungo più di un metro con un peso che si aggira intorno ai 20 chili (nella foto).
A differenza del romanzo di Verne, però, il calamaro non attacca la nave come fa il protagonista animale contro il Capitano Nemo, il Nautilus. Il cefalopode, con un peso pari a 20 chili, quando è stato avvistato era già morto. Del resto è difficile la caccia di questa specie per via dei cromatofori presenti sulla pelle che permettono all'animale di cambiare colore in funzione dell'ambiente circostante. Inoltre, la parte ventrale del corpo è in genere più chiara di quella dorsale, in modo da evitare di essere identificati sia dalle prede sia dai predatori anche quelli umani.La razza del calamaro 'siracusano' appartiene a un ordine di Molluschi Cefalopodi, il cui nome specifico è ''Thysanoteuthis rhombus''. Fa parte di una particolare specie atlantica che, pur vivendo a grandi profondita', sfrutta le acque del Mediterraneo per la stagione della riproduzione. La maggior parte di questi animali non sono più lunghi di 60 cm, nonostante i calamari giganti Architeuthis sp possano raggiungere anche i 13 metri.
Nel 2003 è stato scoperto un grande esemplare di calamaro colossale: il Mesonychoteuthis hamiltoni. Questa specie può raggiungere i 14 metri di lunghezza, ha gli occhi più grandi rispetto a tutto il regno animale ed è l'invertebrato più grande del mondo. Gli esperti stimano la presenza di 298 tipi di calamari distinti in ben 28 famiglie.
Per gli appassionati del 'mondo sommerso', ecco un video che mostra quanta forza può essere esercitata da un calamaro gigante che addirittura si scontra con una balena: http://www.youtube.com/watch?v=r78yZV-TMOk
NOTIZIARIO ITALIANO
25 GIUGNO 2010
Nati due cuccioli di gufo reale
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PALERMO - A Villa d'Orleand, a Palermo sono nati due cuccioli di Gufo Reale. E' un fatto eccezionale che si verifica per la prima volta in Sicilia dove il gufo reale è estinto. L’ultima osservazione risale al 1978.E’ la specie di gufo piu’ grande con un’apertura alare da 1,60 fino a 2 metri.
Questi giovani nati, in forza di una convenzione con un parco naturale, con molta probabilita’, parteciperanno ad un progetto di reintroduzione sui monti siciliani.
PANORAMA
25 GIUGNO 2010
Sultanpur, India: la morte degli animali intorno al lago in secca
Sultanpur, India: la morte degli animali intorno al lago in secca indiano dell’Haryana, le foto di un lago prosciugato all’interno del parco, abitato da numerose specie di uccelli e di antilopi. Dichiarato riserva naturale nel 1971 e parco nazionale nel 1991, il Sultanpur Bird Sanctuary si trova a 50 km da New Delhi e per questo è meta frequente delle escursioni degli abitanti della capitale.
FOTO
http://blog.panorama.it/foto/2010/06/25/sultanpur-india-la-morte-degli-animali-intorno-al-lago-in-secca/
IL GAZZETTINO
25 GIUGNO 2010
È un esemplare maschio di 5 anni il responsabile delle incursioni a Bolzano bellunese e Soffranco
Provincia di Belluno - Un nuovo orso è arrivato nel Bellunese a maggio, ma sembra che, nello stesso periodo, anche il ben più noto Dino sia ripassato da queste parti. Stando alle analisi effettuate dalla Polizia provinciale, infatti, a fare una scorpacciata di miele a Bolzano bellunese il 28 maggio e a Soffranco, vicino a Longarone, il 1° giugno, è stato Mj4, maschio di 5 anni, nato in Trentino dal nucleo degli orsi fondatori. Un animale giramondo, se si considera che il secondo e terzo anno di vita Mj4 era stato avvistato in Svizzera e in Sud Tirolo. Nel 2009, invece, aveva lasciato traccia in Trentino ma, evidentemente, non si è accontentato di aver fatto rientro all'ovile e sembra che ora voglia esplorare nuove zone. A maggio, però, M4j non è stato il solo orso a circolare nelle vallate bellunesi perché ci sono ben due segnalazioni contemporanee: il 24 maggio a S. Vito di Cadore e in Val Noana, dalle parti di Trento e il 28 maggio a Sappada e a Bolzano Bellunese. Troppi i chilometri che separano le località, ma l'enigma trova un'ipotetica spiegazione in Friuli. A Tarvisio un esemplare con una marca auricolare gialla è stato ripreso in un video il 2 giugno. E chi può essere? Guarda caso proprio M5, più conosciuto come Dino, possiede questa caratteristica. Dopo aver lasciato il vicentino, dove ormai era stato catalogato come schizofrenico per le sue continue apparizioni e razzie, è probabile che si sia spostato verso est. L'orso potrebbe aver scelto di nuovo i boschi ai piedi delle Dolomiti Bellunesi per ritornare verso il suo territorio d'origine, la Slovenia, attraversando i luoghi che aveva frequentato nel 2009. Dino potrebbe essere un turista particolare certo, ma anche molto fedele: l'avvistamento a Sappada e i danni rilevati ad Auronzo a fine mese, sono compatibili con la sua presenza. Purtroppo, manca la certezza perché il campione di pelo rilevato a pochi passi dalle Tre Cime non ha permesso di risalire al soggetto. Dal 23 maggio al 2 giugno, comunque, ci sono state 8 segnalazioni di orsi in Provincia di Belluno, ma la Polizia ricorda che di norma nei mesi estivi c'è una diminuzione di danni alle attività agro-pastorali. Gli orsi sono più discreti e diventa più complicato avere segnalazioni, tanto che a volte capita di perderli di vista anche per qualche settimana o addirittura un mese.
IL CENTRO
25 GIUGNO 2010
Orso acrobata nel recinto degli ovini
Annalisa Civitarale
ANVERSA DEGLI ABRUZZI (AQ). Ha scavalcato un recinto alto tre metri per entrare nel recinto degli ovini. Ha ucciso una pecora e ne ha ferite gravemente tre. L’orso è tornato a colpire. Mercoledì notte, intorno alle 23, in uno stazzo dell’allevatore Nunzio Marcelli, in Val Chiarano di Anversa. L’acrobatico plantigrado, secondo la Forestale, potrebbe essere uno dei figli dell’orsa Gemma. «Siamo di fronte ad un orso acrobata», racconta Nunzio Marcelli «capace pur di sfamarsi di scavalcare un muro alto più di tre metri, e poi spostarsi su una tettoia per scendere nel recinto delle pecore». L’allevatore non era presente al momento dell’incursione, ma c’erano alcuni suoi pastori che lo hanno subito chiamato, chiedendo anche l’intervento del Corpo forestale dello Stato. Oggetto dell’attacco dell’orso il gregge di pecore che nei giorni scorsi aveva accompagnato un gruppo di turisti inglesi lungo le strade della transumanza, e che sabato tornerà a farlo. Sul posto sono intervenuti dieci uomini della Forestale di Sulmona e di Pescocostanzo, coordinati, rispettivamente, dagli ispettori capo Antonio Amatangelo e Sabatino Trilli . «I fatti» spiega Amatangelo «si sono svolti dalle 23 alle 2. Era un orso di notevoli dimensioni. Ha attaccato quattro animali e, senza il nostro intervento, avrebbe fatto una strage. Siamo riusciti a distrarlo e a farlo uscire, ma siamo rimasti sul posto per un po’ anche dopo, per controllare che non tornasse». «Un ruolo importante nel metterlo in fuga», aggiunge Marcelli «lo hanno avuto anche i cani pastore». Intanto, all’indomani dell’ennesimo assalto di un orso, allevatori e pastori abruzzesi chiedono alla Regione un marchio che certifichi i prodotti di chi tutela la biodiversità. «Quando muore un orso tutti additano gli allevatori», afferma Marcelli, presidente dell’Associazione regionale produttori ovicaprini (Arpo). «La verità è che ogni giorno orsi e lupi vivono proprio grazie alla presenza delle greggi. Orsi e lupi che, oltre ad essere una ricchezza naturale, sono una risorsa per il turismo della nostra Regione. Un lavoro duro, solitario, quello dei pastori, che pochi ancora scelgono di fare. E che non viene riconosciuto e che ancora portano le greggi sui pascoli della Regione Verde d’Europa». Ed è alla Regione che gli allevatori si rivolgono, perché istituisca un marchio che certifichi i loro prodotti. Marcelli tocca poi anche la questione risarcimenti. «Alla Regione proponiamo anche la creazione di un centro allevamento cui attingere per restituire agli allevatori gli animali persi per attacchi dalla fauna selvatica. I risarcimenti in denaro sono poca cosa rispetto al reale valore dell’animale ucciso, perché oltre al danno emergente, va considerato il lucro cessante, cioè il mancato guadagno che all’allevatore sarebbe potuto derivare da quell’animale».
CORRIERE DELLE ALPI
25 GIUGNO 2010
L'orso di Case Bortot è trentino
Cristian Arboit
BELLUNO. Sta diventando proprio la storia dell’orso. Già, perché adesso oltre a Dino - forse finito a Tarvisio - in provincia di Belluno è passato un altro plantigrado “patentato”. Si tratta di MJ4, maschio, cinque anni, ma soprattutto una gran voglia di viaggiare. E’ lui ad aver colpito a Case Bortot nel maggio scorso. Ma - in questa storia - c’è un’altra certezza: a maggio gli orsi che scorrazzavano in provincia erano due. Resta da capire chi fosse il secondo. Potrebbe essere lo stesso Dino, ma sbilanciarsi non è facile. Questo dicono le analisi arrivate nelle ultime ore a palazzo Piloni, dopo gli esami fatti tra maggio e giugno nei luoghi attraversati dai pelosi viaggiatori. MJ4, trentino di nascita, è stato in Svizzera e Sudtirolo, per poi ripiegare un mese fa in provincia di Belluno. «E’ un nome in codice», spiega l’ispettore della polizia provinciale, Franco De Bon, «M e J sono le iniziali dei nomi dei genitori. E’ un metodo di campionamento». Lo stesso orso Dino si chiama tra gli addetti ai lavori “M5”. La presenza dell’orso trentino a Bolzano Bellunese è certa: qui, nella notte tra il 28 e il 29 maggio scorsi, distrusse un alveare - pappandosi dieci chili di miele - per poi passare pochi giorni dopo a Soffranco di Longarone. Era il primo giugno. A confermarlo le analisi portate avanti dall’Ispra (l’istituto superiore per la ricerca e la protezione ambientale) sui peli, e le tracce raccolte dalle guardie ambientali. «A fine aprile, MJ4 era in Val d’Ultimo, ai confini con Bolzano. L’arrivo nel Bellunese è stato repentino», spiega l’ispettore. Se due avvistamenti portano la firma - pardon la zampa - di MJ4, sono in cerca di autore tutti gli altri avvistamenti registrati nel Bellunese tra il 23 maggio e il 2 giugno. Resta da risalire quindi al plantigrado autore di incursioni spesso pacifiche a Falcade (il 23 maggio), a San Vito (23-25 maggio), nella trentina Val di Noana (24-25 maggio), a Sappada (28 maggio), ad Auronzo (29 maggio) e a Forcella Scodavacca in comune di Pieve di Cadore (il 2 giugno). La presenza di due animali è a questo punto una questione matematica: «I danni a San Vito e in Val Noana, l’avvistamento a Sappada e il raid a Bolzano Bellunese non sono sicuramente riconducibili allo stesso soggetto», afferma De Bon. Ricapitolando, gli orsi in provincia almeno a maggio sono stati due: MJ4 da un lato e un secondo esemplare. Impossibile dire se si trattasse di Dino che fino a pochi mesi fa era sempre rintracciabile. Ma Dino ora potrebbe nascondersi in zona Tarvisio. Nonostante si sia perso il segnale - Dino era stato “chippato” mesi fa - l’orso così chiamato in memoria di Buzzati, ha altri segni particolari. «I colleghi di Tarvisio hanno comunicato di aver visto un orso con una marca auricolare gialla. E’ stato ripreso in un video», conclude De Bon.
VIRGILIO NOTIZIE
25 GIUGNO 2010
Avvistata a Palermo pantera nera, paura fra i residenti
Il felino sarebbe fuggito da un'abitazione privata
Palermo - Caccia alla pantera nera a Palermo. Un grosso felino, che secondo le descrizioni dovrebbe corrispondere esattamente a questo animale, dopo l'avvistamento da parte di una residente del quartiere Borgo Nuovo di tre giorni fa, è stato nuovamente avvistato ieri pomeriggio. Il gruppo forestale ha avviato le ricerche servendosi anche dell'ausilio di un elicottero. Secondo le indagini effettuate dalle forze dell'ordine, la pantera nera sarebbe fuggita dal giardino dell'abitazione di un appassionato di animali esotici che oltre al felino avrebbe anche una scimmia e un grosso pappagallo. Nei giorni scorsi sono stati ritrovati a Borgo Nuovo, quartiere periferico di Palermo, numerosi cani e gatti uccisi presumibilmente dalla pantera. Fra i residenti in queste ore monta un clima di apprensione. Nella stessa zona alcuni anni fa è stata catturata una leonessa fuggita dall'abitazione di un pellicciaio. In Italia la custodia di felini di grossa taglia è vietata fin dal 1997.
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LE SCIENZE
25 GIUGNO 2010
Nuove prospettive terapeutiche
Una terapia genica restituisce la vista ai topi
Con l'introduzione di una particolare proteina nei coni difettosi si è riusciti a ripristinare negli animali affetti da retinite pigmentosa la cascata trasduttiva necessaria alla visione
La terapia genica può offrire una via di recupero della vista in topi colpiti da retinite pigmentosa: è quanto annunciato in un articolo pubblicato sulla rivista Science da un’ampia collaborazione di ricerca che ha coinvolto, tra gli altri, il Friedrich Miescher Institute (FMI) di Basilea, in Svizzera, e i centri francesi INSERM e Institut de la Vision.
La retinite pigmentosa e una forma di degenerazione ereditaria della retina che colpisce coni e bastoncelli, i due tipi di cellule sensibili presenti nella zona centrale della retina che convertono la radiazione luminosa in impulsi nervosi. La malattia porta inizialmente alla degenerazione dei bastoncelli, che sono responsabili della visione notturna. Via via che progredisce, coinvolge anche i coni, responsabili della visione diurna. Mentre però i bastoncelli vengono distrutti, i coni sopravvivono nell’organismo per lunghi periodi, anche quando ormai è sopraggiunta la cecità. Questa circostanza ha portato i ricercatori del Friedrich Miescher Institute (FMI) e dell’Institut de la Vision a sviluppare una terapia genica per ristabilire la funzione visiva dei coni “dormienti” ma ancora presenti. Allo stadio a cui sono intervenuti gli studiosi, sebbene i coni difettosi non possiedano più la capacità di reagire alla stimolazione luminosa, mantengono comunque alcune proprietà elettriche e le loro connessioni coi neuroni della retina interna che normalmente trasmettono l’informazione visiva al cervello. Precedenti studi avevano dimostrato come i canali ionici sensibili alla luce fossero in grado di modulare l’attività elettrica di vari neuroni in cui erano stati introdotti. Gli studiosi hanno così proceduto introducendo una proteina, attraverso un vettore utilizzato nella terapia genica, in grado di accoppiare la stimolazione luminosa al trasporto ionico, reintroducendo così la cascata trasduttiva necessaria alla visione e ricreando un sistema fotoelettrico biologico funzionante. I risultati paiono molto promettenti, soprattutto alla luce delle conferme ottenute da Serge Picaud e colleghi dell’Institut de la Vision utilizzando retine umane in coltura e vettori terapeutici compatibili con le cellule umane.
GALILEO
25 GIUGNO 2010
Polmoni da laboratorio
L'obiettivo è riprodurre la perfetta ingegneria di questi organi. Due studi su Science avvicinano il traguardo
I risultati di due studi pubblicati su Science migliorano la comprensione dei meccanismi che regolano lo scambio di gas nei polmoni, e si avvicinano al sogno di “costruire” in laboratorio un polmone artificiale davvero efficiente. Nel primo lavoro, il gruppo di ricerca coordinato da Dan Huh dell’Università di Harvard (Usa) ha sviluppato un apparecchio piccolo quanto una gomma da cancellare che simula l’attività dei polmoni. L’obiettivo, spiegano i ricercatori, è analizzare i processi infiammatori e testare l’efficacia di nuovi farmaci avvalendosi di uno strumento di studio alternativo ai modelli animali. Il dispositivo consiste in una membrana porosa rivestita da tessuto di origine umana, un insieme di cellule polmonari, matrice extracellulare e vasi sanguigni. Creando il vuoto attorno all’apparecchio, è stato simulato il movimento ritmico della respirazione. Per provare la funzionalità del dispositivo, i ricercatori hanno fatto sì che “respirasse” dei batteri E. coli e nano-particelle di sostanze tossiche presenti sia in prodotti commerciali sia in campioni di aria e acqua inquinate. Hanno così scoperto che l’apparecchio si comportava come un vero polmone, innescando all’occorrenza una risposta immunitaria o infiammatoria. Il primo risultato dello studio, spiegano i ricercatori, è stato scoprire che il movimento meccanico della respirazione aumenta l’assorbimento delle particelle da parte delle cellule polmonari.Nel secondo studio, Laura Niklason della Yale University (Usa) e la sua equipe di ricerca hanno praticamente ricostruito un polmone partendo dallo scheletro acellulare. Dopo aver asportato i polmoni dal corpo di topi, i ricercatori ne hanno rimosso tutte le cellule per preservare la matrice extracellulare, che assicura elasticità e altre proprietà meccaniche. Hanno quindi cercato di “ripopolare” la matrice avviando una coltivazione di nuove cellule sulla sua superficie. Dopo solo pochi giorni, queste hanno cominciato a proliferare ricostruendo la tipica architettura polmonare. Una volta trapiantati nei topi, i polmoni hanno funzionato per ben due ore, rifornendo di ossigeno i globuli rossi dell’animale ed eliminando anidride carbonica. L’eccezionale risultato potrebbe rappresentare una nuova speranza per chi attende un trapianto, operazione complessa che può causare infezioni e rigetti, e che solo nel 10-20 per cento dei casi assicura una sopravvivenza a 10 anni. Ma, concludono i ricercatori, per poter utilizzare questa tecnica sull’essere umano servono ancora molti anni di studi. Una delle difficoltà principali è ottenere cellule staminali adulte in grado di ripopolare la matrice extracellulare. (m.s.) Riferimenti: Science DOI: 10.1126/science.1188302 DOI: 10.1126/science.1189345
FUTURO PROSSIMO
25 GIUGNO 2010
Topi respirano con polmoni cresciuti da zero in laboratorio: passo avanti gigantesco verso l'era degli organi di ricambio
Per la prima volta nella storia, topi trapiantati con polmoni realizzati totalmente in laboratorio sono in grado di respirare e ossigenare il loro sangue: è un passo avanti gigantesco verso la possibilità di far crescere 'in vitro' organi di ricambio per tutte le persone del mondo che ne hanno bisogno, chiudendo per sempre l'era dei trapianti da persona a persona.C'è ancora molto lavoro da fare, certo, ma l'ingegnere biomedico Laura Niklason alla Yale University ha segnato un punto importantissimo con la sua "decellularizzazione": è il procedimento che permette la costruzione delle 'impalcature' intorno alle quali crescerà l'organo.Una volta realizzato il 'calco', una mistura di cellule staminali, tessuti e sangue cresce letteralmente intorno alla struttura realizzando il nuovo organo: sembra fantascienza ma è realtà, e funziona.A quando la prima ordinazione d'un paio di polmoni nuovi? :) Conviene tenerne sempre qualcuno da parte, no? :)
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