CORRIERE ADRIATICO
6 DICEMBRE 2009
Trafficanti internazionali di cuccioli
I carabinieri denunciano tre ucraini. Nel furgone in condizioni pietose bulldog e sharpei di pochi mesi
Roberto Rotili,
Montegranaro (FM) Piccoli occhioni che chiedevano un po’ d’acqua, una carezza, un po’ di calore; cuccioli stipati in gabbie adatte normalmente ad ospitare uno solo di loro e con alle spalle un viaggio lunghissimo, enorme, dove per questo tipo di accattoni vestiti da carcerieri le piccole vite perse strada fanno fanno parte del “business”, e dove per i cuccioli il sopravvivere è legato ad una fortuita coincidenza di una sorta di forzata selezione naturale. Li hanno trovati così, stipati in un furgone malandato, destinati ad esaudire l’avida voglia di lucro del mercato cosiddetto regolare. Spesso, spiegano le forze dell’ordine che si imbattono sempre più spesso in questo genere di cose, si tratta di animali drogati, sottoposti a smodata somministrazione di farmaci in grado di farli resistere alle durissime condizioni dei lunghi viaggi in clandestinità
L’unica cosa bella di tanto squallore è che, si spera, in ogni caso i cuccioli anche se pagati fior fiore di centinaia di euro avrebbero trovato padroni, una famiglia che gli voleva bene. Come clandestini umani scoperti dopo viaggi pericolosi ed estenuanti li hanno scoperti così nella serata di venerdì i carabinieri della stazione di Montegranaro. I militari durante una serie di controlli sul territorio si sono imbattuti in uno strano furgone, di nazionalità ucraina, bloccato subito al primo alt ne sono usciti tre uomini, tutti di nazionalità ucraina. I militari insospettiti hanno quindi chiesto al conducente di aprire il furgone ed è uscita la sorpresa: in due gabbie metalliche di piccole dimensioni c’erano otto cuccioli, quattro di razza bulldog inglese e quattro di razza sharpei. Si tratta del mercato clandestino dei cani di razza provenienti dall’Est, pedigree incluso che ormai da anni frutta soldi a palate, basta pensare che un cucciolo di questi viene venduto normalmente nel mercato regolare almeno 2 mila euro ognuno.Un business clandestino ben preparato dove i cuccioli, accompagnati da documentazione sanitaria e identificativa, falsamente formata, poteva ingannare qualunque ignaro compratore. L’interesse maggiore dei carabinieri è ora capire dove erano diretti i tre ucraini, quali e chi erano le mete del loro viaggio, quali altre tappe erano già state toccate nel loro viaggio fino al Fermano visto che i tre non hanno certamente affrontato una così lunga e rischiosa missione per soli otto cuccioli da piazzare nelle Marche. I cagnolini, tutti di pochi mesi di vita, erano tenuti in penose condizioni igienico-sanitarie, naturalmente completamente bagnati e sporchi dei loro stessi escrementi. I tre ucraini sono stai quindi denunciati all’autorità giudiziaria fermana per i reati di maltrattamento di animali e uso di atto falso. I cuccioli sono stati affidati quindi ad un canile di Fermo dove hanno ricevuto tutte le cure del caso.
LA REPUBBLICA TORINO
6 DICEMBRE 2009
Cani ergastolani nel "raggio verde"sono pericolosi, nessuno li adotta
Si chiama Raggio Verde, è un reparto riservato a loro, agli "ergastolani" del canile di via Germagnano. Troppo pericolosi per essere adottati da una famiglia e nessuna speranza di lasciare le gabbie. Sopprimerli o continuare a curarli? Si apre un caso.
Vera Schiavazzi
Torino - In fondo a destra c´è il Raggio Verde, come lo chiamano tra esorcismo e ironia quelli che lavorano al Canile sanitario municipale di via Germagnano. Sei gabbie, oppure sei celle, sei condannati. Non a morte, che dal 1999 a oggi soltanto due cani sono stati soppressi dopo lunga e sofferta decisione. Ma all´ergastolo quasi certamente sì. Chi libererebbe Boing, un rotweiler maschio che quando ti vede si scaglia contro la rete? Chi vorrebbe carezzare Frango, il fila brasileiro trovato "misteriosamente" nel prato dell´Amiat, dove si dice che la mafia dei combattimenti abbandoni le sue vittime? E che speranze ci sono che Tango, un dogo argentino di 60 chili, tutto muscoli e denti scoperti che si è meritato due bollini rossi sulla scheda appesa alla gabbia e un cartello "uscita consentita solo con operatori specializzati" possa mai entrare in una casa torinese? C´è chi ama questi cani, proprio come nei film dove preti, pastori e psicologi tentano fino all´ultimo di parlare con i serial killer o gli psicopatici alla Anthony Hopkins, con la differenza che nessuno di questi animali ha una ‘colpa´. «Ogni tanto - scherza Valeria Bosco, una bella signora bionda che a casa si è portata tre gatti e un cane, il "cattivissimo" Merlino, responsabile del canile - mi sento come il governatore del Texas, quello che deve decidere sulla vita e sulla morte dei "criminali" più pericolosi. Soffro, e mi viene da pensare che agli uomini che commettono i peggiori delitti si cercano comunque le attenuanti, e a questi animali nessuna…». Solo Kefren e Bob sono finiti davvero nel raggio della morte, in dieci anni, dopo che la Commissione scientifica ha decretato che per loro non c´era, davvero, più niente da fare. Gli altri vanno avanti, nella gabbia che assomiglia a quella del vecchio Zoo di parco Michelotti: un comando esterno consente di separare con una rete robusta l´interno dal recinto all´aria aperta, il cibo può essere passato da uno sportello, il cappio rigido, quando serve, consente di spostare i cani che non si lasciano avvicinare. «Un cane - spiega Giuseppe Portolese, il dirigente comunale del settore - appartiene comunque al suo proprietario e non può essere abbattuto se non è lui a deciderlo.Qui teniamo quelli ritrovati o che i padroni non vogliono più tenere». Mantenere i canili, quello di via Germagnano e quello nuovo e moderno di strada Cuorgné, dove le famigliole vanno a cercare un cucciolo peloso e grassottello per Natale, costa alla città 1,3 milioni di euro all´anno: dentro ci sono anche i soldi per una pensione privata di Moncalieri, una sorta di "manicomio giudiziale" dove vivono cani ancora più irrecuperabili, e quelli per la clinica dove si curano gli animali malati. «A volte - confessa Stefano Lo Russo (Pd), consigliere comunale, vicepresidente della Commissione ambiente - mi chiedo se davvero stiamo rendendo un servizio a questi animali, o se mantenerli non è soltanto l´obolo che paghiamo alla nostra coscienza "politicamente corretta". Al centro delle politiche in questo campo dovrebbe esserci il loro benessere, è davvero così?». La risposta, indiretta, arriva da Tiziana Berno, che guida i volontari dell´Enpa: «Una grande comportamentista inglese, Angela Stockdale, è venuta a trovarci. Ci ha detto che questo canile è "no stress", che i cani non sono infelici. Per noi, è questo che conta».
LA ZAMPA.IT
6 DICEMBRE 2009
Protesta choc: in piazza con gli animali morti
Il gruppo animalista della "Igualdad Animal" (Uguaglianza per gli animali) ha scelto un modo molto duro per protestare contro la schiavitù a cui è sottoposto il mondo animale: circa un centinaio di attivisti si sono presentati in una piazza di Madrid portando con se le carcasse di animali morti, dalle volpe ai maialini, dai conigli ai pulcini.
FOTO
http://www.lastampa.it/multimedia/multimedia.asp?IDmsezione=59&IDalbum=22711&tipo=FOTOGALLERY
L'UNIONE SARDA
6 DICEMBRE 2009
Olzai (NU), la fedeltà del segugio Nennu:il padrone lo ritrova sulla sua giacca
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Olzai (NU) - Questa è la storia di un amore straordinario come può esserlo solo quello tra un cane e il suo padrone. Luciano Porceddu, 51 anni, autocarrozziere di Villasor, ha ritrovato il suo segugio smarrito nei boschi di Olzai dopo una notte, addormentato su un giubbotto lasciato in un cespuglio nella speranza che il cane ritrovasse la traccia del suo odore. «Quando l'ho visto, stanco e ferito, mi è scesa una lacrima. Lui non si era ancora accorto di me: con un balzo mi è saltato addosso, mi ha leccato la faccia ed è schizzato verso l'auto. Voleva tornare a casa dopo una notte sotto la pioggia».
IL CUCCIOLO Per Luciano Porceddu, 51 anni, cacciatore per hobby, Nennu è qualcosa di più di un cane. «Me l'hanno regalato quando aveva solo quindici giorni, con mia moglie Silvana l'abbiamo allattato con il biberon, l'abbiamo visto crescere giorno dopo giorno fino a quando è diventato un bellissimo esemplare di segugio, incrocio tra uno di razza italiana e un grifon bleu». Quando domenica scorsa Nennu si è perso nelle campagne tra Ottana e Olzai durante una battuta di caccia grossa, Porceddu era disperato. «Non sono andato a pranzo con gli altri colleghi della compagnia, sono rimasto a cercarlo sui monti, poi mi sono arreso: ormai si era fatto buio, non conoscevo bene quei territori, stava cominciando a piovere troppo». In quei momenti sono tornati alla sua mente i racconti di altri cacciatori esperti, spesso ammantati di leggenda: «Ho lasciato un mio giubbotto appeso a un albero, nella zona dalla quale eravamo partiti a caccia del cinghiale, nella speranza che Nennu potesse ritornare sulle mie tracce». Poi Luciano Porceddu è rientrato a casa, a Villasor. «Ho trascorso un notte insonne. Quando sono andato in officina a lavorare, non riuscivo a concentrarmi. A un certo punto ho avvertito quasi una voce che mi ha spinto a lasciare la carrozzeria per tornare a Olzai alla ricerca di Nennu ».
SUI MONTI Luciano Porceddu non è andato immediatamente sul luogo in cui aveva lasciato il suo giubbotto. «Ho rifatto a grandi linee il tragitto percorso insieme agli altri cacciatori della compagnia. Dal punto in cui i cani hanno fiutato il cinghiale e sino a quando non hanno perso le tracce. Nennu era stato l'unico a non tornare: evidentemente, anche se non è ancora un cane esperto perché ha solo un anno e mezzo, ha il fiuto lungo, è stato l'ultimo a perdere il contatto con l'animale, l'ultimo ad arrendersi».
Ma anche questa strategia non ha portato nessun risultato. Alle tre del pomeriggio, l'ultimo tentativo: il recupero del giubbotto. «L'avevo lasciato sopra un arbusto, sono arrivato e non ho visto la giacca. Ho pensato: devono avermela rubata . Poi, dietro un cespuglio, ho visto Nennu : era stato lui con un balzo a recuperare il giubbotto sul quale si è addormentato. Era stanco, ferito, ma vivo e felice. Ho pianto, non me ne vergogno».
LA GIOIA E dire che Luciano Porceddu ha altri nove cani. «Sono affezionato a tutti, ma con Nennu il rapporto è particolare. È il più forte, molto promettente, magari non diventerà un campione di caccia grossa, ma ha un carattere che conquista e poi per noi è uno di famiglia».Spesso i cacciatori sono accusati di non trattare benissimo i loro animali. «È vero - ammette Porceddu - in tanti li puliscono una volta al mese, li costringono a vivere in mezzo alla sporcizia, spesso in un recinto troppo piccolo. Invece per me no, li seguo e li accudisco con l'aiuto di mia moglie e miei figli perché loro fanno davvero parte della mia famiglia. Nennu è un vezzeggiativo: è il piccolo di casa che si è salvato grazie al suo fiuto, alla sua intelligenza e al suo straordinario attaccamento al suo padrone».
TRENTINO
6 DICEMBRE 2009
Se ci si diverte a bollire i crostacei, vivi
E’ arrivata la prima neve nel fondovalle. Debole e acquosa ci ha sorriso fugace, lasciandoci gli occhi gonfi di desiderio. Un piacere istantaneo, dissolto in un’agitazione strana come una partenza senza promesse. E’ sempre così ciò che non si ferma abbastanza a lungo da darci la speranza di non lasciarci mai. E la neve cadeva sciogliendosi già. Porosa. E l’inquietudine si gonfiava incapace di sorreggere il passo. Chissà quale segreto nascondono i fenomeni e tutte le forme di vita il cui tempo è breve come l’accenno di un pensiero che non sarà mai formulato interamente. Uno degli emblemi della fugacità è la cicala. Può permettersi imprevidenza e spensieratezza poiché non conosce l’Inverno. Se il suo canto entra nei nostri sogni ci parla di una vita eccitante ma in senso angoscioso, considerando che la risoluzione finale di quella gioia potrebbe essere mortale. C’è una cicala quindi che muore naturalmente quando il calore estivo che l’ha ospitata si va affievolendo. E ce n’è un’altra che fa una brutta fine prima ancora che la Natura decida per lei. E’ la cicala di mare, la canocchia. Il crostaceo marino strappato dal mare per essere cucinato vivo. A illuminarci in tal senso ci ha pensato La prova del cuoco, una trasmissione televisiva che mette in gara le abilità culinarie di cuochi professionisti. Nell’ultima puntata uno di loro maneggiava i crostacei permettendosi anche una battuta inerente a un possibile dissenso da parte degli animalisti. Fatto sta che proprio alle associazioni animaliste sono arrivate numerose segnalazioni che denunciavano il procedimento con cui questi animali sono stati cucinati. Si parla della solita tortura ma talmente lenta da essere stata incapace di ucciderli davvero, poiché nella composizione del piatto finale si muovevano ancora tra gli ingredienti della ricetta. Che cosa dell’umano ancora ci meraviglia? L’incapacità di provare una sensibilità autentica che riconosca il dolore di ogni essere? Forse molto di più: la capacità di sentirsi padrone di tutto ciò che vive e l’arroganza distruttiva che attinge a questa sete di possesso. La stessa denunciata da film come’The age of stupid’ di Franny Armstrong e dalle immagini del fotografo della natura Arthus-Bertrand in «Home». La stessa che spegne il canto marino delle cicale nell’inquietudine della prima neve. Poiché ha già decretato la fine di tutto.
IL GAZZETTINO
6 DICEMBRE 2009
IL PERSONAGGIO Enzo De Prà, primo cuoco stellato bellunese
«Legame forte con Venezia: la vigilia ha il sapore del pesce»
Il Natale in Alpago:mai senza lumache
provincia di Belluno - Correva l’anno 1970 e la ristorazione bellunese festeggiava la sua prima stella Michelin della storia. Accadde per merito di uno chef giovane, geniale e unico che, nel ristorante di famiglia appollaiato lassù in cima, a Plois d’Alpago, stupiva tutti mandando in tavola, sotto il monte Dolada, una cucina francese con influenze orientaleggianti, clamorosa, a quei tempi e in quei luoghi: «Avevo studiato in una scuola per cuochi in Svizzera - ricorda adesso -, dove non esisteva cucina locale ma solo francese. Del resto, la Francia è stata una maestra per quasi tutti, inutile far finta di no. Quella italiana era cucina di famiglia, la francese da grande ristorazione». Lo chef di cui si parla era (ed è) Enzo De Prà che sta ancora lassù, nel suo ristorante sempre più bello, si gode i fasti bellunesi degli anni Duemila (seconda provincia veneta nella classifica delle stelle Michelin dopo Verona, grazie a Tivoli, Locanda San Lorenzo, Laite e, appunto, Dolada): «Si vede che ho seminato bene, il mio esempio è servito» dice quasi sottovoce), in quel paese che adora e che lascia di tanto in tanto per andare a Londra dal figlio Riccardo o da qualche parte per una trasferta dell’amata Juve, ma sempre per poco.È sempre lì, Enzo, ai fuochi, e adesso pensa che la cucina di famiglia sia in fondo la più emozionante: «Ho mangiato come a casa è il più bel complimento che mi possa fare un cliente» dice, mentre pensa al menù di Natale, prima di calare a Scorzè dove mercoledì sarà fra i giurati del ’Piatto del Natale’, la sfida gastronomica fra i lettori del ’Gazzettino’. E nel suo menu natalizio, fa sapere, non mancherà un classico della tradizione dell’Alpago, il broet de s’cioss, una zuppa-Intingolo di lumache opercolate e sedano rapa, e nella zuppa anche una cucchiata di polenta cremosa. Un piatto di una tradizione che fra le montagne dell’Alpago prevede, per la Vigilia, una cena rigorosamente a base di pesce: «Il legame delle nostre terre con Venezia è sempre stato forte. Loro ci davano il pesce, noi frutta e ortaggi. Così, ancora oggi, la Vigilia è di magro, fra bisati e saor».Poi, per il pranzo del Natale, si cambia: «Chi ha da poco ammazzato il maiale lo mette in tavola sotto forma di costicine e arrosti. Anche il vitello da latte non manca mai. E poi anatre e, in genere, gli animali da cortile. E al momento del dolce, ecco i savoiardi da intingere in un goloso zabaione».
IL PICCOLO
6 DICEMBRE 2009
Pasti vegetariani nelle nostre scuole
Trieste - La Lega Anti Vivisezione ieri è scesa in piazza anche a Trieste con la campagna nazionale ”Cambiamenu”, dedicata alla scelta alimentare vegetariana, per invitare i cittadini a firmare la petizione rivolta ai sindaci e ai presidenti di Province e giunte regionali. La Lav chiede che l’opzione vegetariana sia garantita nelle mense pubbliche, scuole e ospedali. Alcuni Comuni già garantiscono la scelta vegetariana nelle mense scolastiche: ad esempio Roma, Milano, Firenze, Venezia, Torino, Ferrara, Pavia, Treviso e Napoli. Essere vegetariano significa seguire un’alimentazione che esclude carne e pesce, mentre è vegano (o vegan) chi non assume alcun cibo di derivazione animale, quindi non mangia neanche latte, latticini, uova e miele. Si calcola che in Italia i vegetariani siano sei milioni, un milione i vegani. Ma la campagna è anche un’occasione per sensibilizzare i cittadini sull’impatto che le scelte alimentari hanno sull’ambiente. Per produrre un chilo di carne vengono consumati 15500 litri d’acqua e 15 chili di cereali, vengono distrutti 35 metri quadrati di foreste e sono prodotti 36 chili di Co2. Secondo l’associazione il modo più rapido ed efficace di fermare il riscaldamento globale è ridurre il numero di animali allevati e di conseguenza il consumo di prodotti animali. Nella giornata di ieri sono stati distribuiti un opuscolo con le ricette natalizie vegetariane e una guida per diventare vegetariani, contenente consigli, informazioni e ricette. I volontari della Lav torneranno in via Dante (angolo via Genova) anche martedì prossimo.
MESSAGGERO VENETO
6 DICEMBRE 2009
Con un pollo alla cocaina: in manette all aeroporto
WAHINGTON. Un uomo è stato arrestato all’aeroporto di Washington per aver tentato di contrabbandare negli Usa un pollo ripieno di cocaina. L’animale arrostito ha colto l’attenzione di un doganiere che ha chiesto al passeggero Wagner Mauricio Aragon, sbarcato da un volo da El Salvador, di togliere l’involucro che proteggeva il volatile. Aprendo con cura il pollo i doganieri hanno scorto un paio di sacchetti trasparenti (con polverina bianca) usati per farcire l’animale. I test hanno mostrato che si trattava di cocaina per una quantità sufficiente a ricavare oltre quattromila dollari.
TG COM
6 DICEMBRE 2009
Tv, in tribunale chef italiano
Ha vinto l'Isola dei famosi in Gb
Gino D'Acampo, lo chef italiano che nel fine settimana ha vinto l'edizione britannica de L'Isola dei Famosi, intitolata I'm a Celebrity...Get Me Out of Here! finirà dinanzi ad un tribunale australiano accusato, insieme ad un altro concorrente, Stuart Manning, di crudeltà sugli animali per aver ucciso, cucinato e mangiato un topo.Lo chef 33enne, celebre nel Regno Unito per le sue comparse televisive, ha ucciso il topo quando il suo gruppo si trovava in 'isolamento' con razioni ridotte di riso e fagioli. ''Ho visto uno di quei topi correre in giro, ho preso un coltello, gli son saltato alla gola e l'ho preso'', ha raccontato D'Acampo alle telecamere.David Oshannessy, della protezione animali australiana, ha dichiarato che secondo le regole sull'utilizzo di animali negli spettacoli, ''uccidere un topo e' inaccettabile. Il fatto e' che e' stato fatto unicamente per le telecamere''. D'Acampo e Manning sono stati chiamati a testimoniare il 3 febbraio.
SAVONA NEWS
6 DICEMBRE 2009
Varazze (SV): l'ENPA soccorre un esemplare di Svasso Maggiore
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Varazze (SV) - Un bellissimo esemplare di Svasso Maggiore (nella foto, apertura alare di 1,5 metri) è atterrato in difficoltà nel porto di Varazze. E' stato soccorso dai Volontari della Protezione Animali di Savona su chiamata di alcuni pescatori. L'animale è molto grave e non si sa se riuscirà a sopravvivere, malgrado le cure veterinarie subito fornitegli.Lo svasso è un grosso volatile migratore che frequenta corsi d'acqua
(stagni, laghi e fiumi) dove si ciba di piccoli animali acquatici. Malgrado sia un animale protetto, l'ENPA teme sia stato colpito, probabilmente per errore, da una fucilata; il tempo inclementi di questi giorni ha fatto il resto, costringendolo a scendere a terra; la sua presenza in Liguria è discretamente rara e delle sua sorte si sta interessando l'Università di Genova.
LA GAZZETTA DI REGGIO
6 DICEMBRE 2009
Colla al cimitero sparviero salvato
NOVELLARA (RE). Nei giorni scorsi qualcuno ha avuto la brillante idea di contrastare la presenza dei colombi che sporcavano su una cornice in una zona in fondo al cimitero. Spalmandovi sopra una sostanza collosa. Un sistema di cattura non selettivo e vietato. Due colombi vi sono rimasti imprigionati e, non riuscendo più a liberarsi, sono morti. Uno sparviero, un rapace di specie protetta, pensando a una facile preda, si è avvicinato ed è rimasto impigliato nello strato di colla. Per fortuna alcuni cittadini in visita ai loro defunti hanno visto la scena e provveduto ad avvisare una guardia giurata ecologica volontaria locale, che a sua volta ha informato l’ufficio comunale competente. Dopo poco sono intervenuti i vigili del fuoco di Guastalla e gli operatori del Comune. I primi hanno liberato il rapace e recuperato i due volatili morti, i secondi hanno pulito e rimesso il tutto in sicurezza. Lo sparviero è stato trasportato al Cras (Centro recupero animali selvatici) «Croce alata» della Lipu di Reggio. Ora sta bene e verrà presto rimesso in libertà. Sulla base del rapporto delle Ggev (Guardie giurate ecologiche volontarie) provinciali, il sindaco Raul Davoli ha predisposto un’indagine.
LA PROVINCIA DI LECCO
6 DICEMBRE 2009
Cane in regalo Ma non sia un capriccio
Si avvicina il periodo delle festività natalizie: accade a volte che il regalo tanto desiderato e richiesto sia un animale domestico (un cane, un gatto o un pappagallino) e che, dopo un'iniziale entusiasmo, l'interesse manifestato dai bambini verso il nuovo amico col passare del tempo venga meno. Ecco allora che il pet si trasforma in un problema serio e di difficile gestione per l'intera famiglia. Nei casi peggiori è proprio il quattro zampe o l'animale esotico a pagare le conseguenze di una scelta irresponsabile e affrettata: sono infatti moltissimi gli animali che, diventati ormai troppo grandi e ingombranti per suscitare la tenerezza di quando erano cuccioli. Divenuti troppo bisognosi di cure e attenzioni per la sopportazione di tanti genitori che a Natale avevano ceduto ai capricci dei figli, si ritrovano vittime innocenti dei numerosi casi di abbandono che si verificano nel nostro Paese. Proprio per contrastare questo triste e deplorevole fenomeno, molte associazioni animaliste stanno svolgendo un'importante opera di sensibilizzazione, volta ad evitare che l'adozione di un cane o di un gatto sia frutto di una scelta emotiva e leggera. Coloro che intendono accogliere un amico a quattro zampe nella propria famiglia, devono sapere che una simile decisione comporta serie responsabilità e precisi doveri, non solo in termini di costo del mantenimento, ma anche di affetto, impegno e tempo.
È importante, inoltre, ricordare che nei canili di tutta Italia vi sono tanti trovatelli sfortunati che attendono di poter donare in modo completo e gratuito il loro amore a qualcuno che possa prendersene cura e li scelga come compagni di vita. Secondo le stime più recenti, i canili del nostro Paese ospitano oltre 150.000 cani, e, di questi, almeno 100.000 sono quelli immediatamente adottabili. Se dunque avete intenzione di scegliere un amico a quattro zampe, consiglio di recarvi presso il canile di Lecco, dove, grazie anche all'aiuto degli operatori e dei volontari della Lega italiana per la Difesa degli Animali, potrete stabilire una serie di contatti con uno dei 200 cani ospitati nella struttura, al fine di sviluppare la reciproca conoscenza ed intraprendere un'adozione duratura nel tempo. Tra i cagnolini ospitati nel ricovero di via Rosmini c'è Sissy, una femmina di nove anni di taglia piccola, con alle spalle una storia sfortunata. All'età di due anni, questa bella meticcia dal pelo fulvo aveva fatto il suo ingresso nel canile provinciale: dopo qualche mese era andata a una coppia di anziani signori, che, senza esitazioni aveva adottato la simpatica quattro zampe. Purtroppo, a distanza di sette anni, Sissy è tornata nuovamente in canile, a causa della morte del proprietario e dell'aggravarsi delle condizioni di salute della signora, che non le permettono più di badare alla sua amata cagnolina. Ci auguriamo che questa dolce meticcia dall'indole buona, abituata alla presenza di anziani e bambini, possa trascorrere una vecchiaia serena tra le mura di una casa accogliente e circondata da persone amorevoli.
LA STAMPA
6 DICEMBRE 2009
"La tigre avrebbe potuto uccidere mio figlio"
«Lo ha aggredito perchè ingannata dal mantello nero»
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La tigre bianca che l'altra sera, durante lo spettacolo alla Pellerina, ha azzannato e ferito ad una spalla il figlio di Moira Orfei
NICCOLO' ZANCAN
TORINO - Colpa di un mantello nero, dettaglio non previsto nel rigido copione dello spettacolo. «Mio figlio era molto vicino alla tigre albina. Ma venerdì notte Tristàn non voleva entrare in scena. Così Stefano si è avvicinato ulteriormente al tunnel. La tigre ha visto qualcosa che non era abituata a vedere in quella zona, una macchia scura: è volata sul mantello. Una zampata, un morso, si sono rotolati. Abbiamo acceso immediatamente le luci. Il pubblico urlava, terrorizzato».
Walter Nones è il marito di Moira Orfei. Lavora nel circo dal ‘72. Faceva il domatore, è diventato direttore. Ha insegnato lui il mestiere al figlio Stefano. Lui gli ha salvato la vita venerdì notte. Racconta quello che è successo sotto il suo tendone, la paura è passata. Il piazzale della Pellerina si sta riempiendo di auto. Odore di popcorn. Padri e bambini chiedono notizie: «Ci sono le tigri?». Le tigri sì, Stefano Nones, invece, medicato all’ospedale Maria Vittoria, si è preso un giorno di riposo. Cosa è successo quando avete acceso le luci? «La tigre tirava. Non ce l’aveva con Stefano, ma con quell’onda nera. La cosa migliore, in questi casi, è prendere l’estintore, perché basta il rumore per far mollare la presa. Ma non c’era più tempo, un secondo poteva costargli la vita. Tristàn poteva agganciare la mandibola, l’aorta o la femorale. Sono entrato, gli ho dato un bastone sul muso, ha liberato mio figlio». Adesso come sta? «Ha qualche ferita sulle braccia, un morso sulla mano, nulla di grave. Alcuni, quando succede una cosa del genere, decidono di smettere. Stefano no, mi ha detto: “Ho sbagliato, è stata colpa mia. Voglio tornare in pista a Torino”. Ama il suo mestiere, ha lavorato anche con 16 tigri insieme». Che mestiere è? «Pericoloso, ma siamo innamorati. Di noi, degli animali e del nostro spettacolo, viviamo per questo». Com’è Tristàn? «Molto dolce. Ha 8 anni. È quella che fa la moto e l’altalena con Stefano, i numeri più difficili. Ma resta sempre una belva feroce». Perché una tigre dovrebbe voler andare in altalena? «Sono animali nati in cattività, cresciuti al circo da generazioni. Animali artisti. In Africa verrebbero sbranati». Animali artisti? «Sì, io ritengo che Tristàn sia una tigre artista, una tigre che desidera lavorare. È importante: quando sentono la musica e non li porti ad esercitarsi, fanno le bizze. Cominciano ad agitarsi». Può raccontare il circo con dei numeri? «Facciamo 45 piazze all’anno, 200 mila chilometri di strada. Lavorano per noi più di cento persone, arrivano da tutte le parti del mondo, pochi italiani. Abbiamo 75 automezzi, chilometri di cavi, centinai di costumi, una sala ristorante, la sartoria, la falegnameria e il reparto meccanici». Suo figlio è già stato aggredito da una tigre a Scalea nel 2006. «È stata una cosa diversa. C’era una vasca per fare il bagno alle tigri, dentro un grande recinto. Lui le mandava su, nel carro, ma una non voleva uscire dall’acqua. Un inserviente si è messo in mezzo, la tigre l’ha azzannato. Stefano si è preso una zampata sulla gamba per difenderlo». Cosa risponde alle critiche degli animalisti? «Abbiamo provato: senza animali la gente non viene al circo, non ha successo. Lo Stato riconosce la funzione sociale del circo con gli animali, ci sono sempre stati. I nostri sono trattati con amore: curati, vaccinati, riscaldati. Siamo attentissimi. Invito gli animalisti al circo Orfei quando vogliono, anche in incognito. Possono stare con noi quanto ritengono, non abbiamo niente da nascondere».
L'ARENA GIORNALE DI VERONA
6 DICEMBRE 2009
DOG FASHION WEEK. Fino a martedì in Fiera l’inedita rassegna che abbina la cinofilia alla moda con capi creati ad hoc
Quando Fido veste cachemire
Cinquemila cani in esposizione da tutto il mondo tra cucce riscaldate, tagliaunghie elettrici e oli anticrespo per il pelo
Verona - Ognuno dispone di un kit essenziale fornito di spazzola, lacca e, all'occorrenza, piastra lisciante, bigodini e fermagli colorati. Per non parlare degli abitini griffati, dei gioielli ed altri preziosi accessori. Cos'è, un salone di bellezza? Sì, ma per cani.
Si è aperta ieri in Fiera la prima edizione di «Dog Fashion Week»: inedita rassegna che abbina la cinofilia alla moda, visitabile fino a martedì, sempre dalle 9.30 alle 18. Perché se Fido è già il miglior amico dell'uomo, ora lo si vuole far diventare anche il più bello. Cinquemila cani in esposizione provenienti dagli allevamenti di tutto il mondo, oltre 250 razze rappresentate sulle circa 400 riconosciute, 70 giudici dall'occhio esperto in fatto di pedigree, una ventina di società per la riproduzione degli esemplari più rari. E poi decine d'aziende specializzate nell'addestramento, come la Beck's Hill di San Giovanni Lupatoto, nei mangimi e nelle attrezzature più moderne: la cuccia con riscaldamento incorporato che simula il tepore dei raggi solari, per esempio, il tagliaunghie elettrico per una «manicure» di precisione, i prodotti di bellezza, compresi gli oli anti-crespo per il pelo... Ieri pomeriggio, l'attenzione è stata tutta per i bassotti «vestiti» dalla stilista Laura Mancini con cappottini coordinati agli abiti delle modelle che sfilavano a fianco. E oggi è la volta della collezione «limited edition» per barboncini firmata da Addy Van Den Krommenacker. «Il nostro target è una clientela di livello medio-alto», spiega Raffaele Schiavi, titolare della maglieria modenese per cani Liberty Dog, presente alla rassegna con il suo stand. È un settore del tutto nuovo, questo. Capi in puro cashmere, rigorosamente "made in Italy", studiati nei minimi dettagli: il colletto con risvolto, magari bordato di pizzo, ha un foro per far passare targhetta e guinzaglio; la mantella "da sera" è cosparsa di strass. I prezzi? Dai 20 euro in su, dipende anche dalla taglia, che si misura in centimetri dalla base del collo a quella della coda: dai 21 del chihuahua ai 110 dell'alano. Ma perché vestire un animale? «Ormai i nostri cani vivono sempre in appartamento con noi: quando li portiamo fuori, soffrono lo sbalzo di temperatura. Meglio, allora, se il capo è alla moda...», risponde Schiavi. Ma se questo vale per i cani a pelo corto, di certo non hanno bisogno di cappotto i samoiedi siberiani, che ieri sottostavano alla cotonatura del pelo prima di scendere in passerella. «Questi cani sono adatti a tutto, tranne che alla guardia», spiega il loro allevatore emiliano, «perché sono talmente docili da lasciarsi coccolare dagli estranei». Ma a detta di un allevatore di Ancona, solo pochi passi più in là, è l'alano il più bonaccione. Eppure, altri appassionati giuravano che i più amabili erano i loro shihtzu (piccola razza tibetana), i loro mastini napoletani, i loro doberman... Il fatto è che, com'è il padrone, così diventa anche il suo cane.
TARGATO CN
6 DICEMBRE 2009
S.Michele Mondovì: Provincia concede terreno per cimitero animali
Provincia di Cuneo - La concessione, da parte della Provincia, di un terreno in comodato d'uso gratuito alla Lega italiana dei diritti dell'animale-sezione di Carrù, Mondovì e Ceva renderà possibile la realizzazione di un cimitero per i piccoli animali. “La Provincia – dichiarano il presidente Gianna Gancia e il vice presidente Giuseppe Rossetto – dimostra, ancora una volta, l'attenzione per le richieste del
territorio ed, in particolare, attua un politica di sostegno alle iniziative promosse dalle associazioni di volontariato operanti sul territorio”. All'associazione è stato già assegnato un finanziamento provinciale di 5.690 euro per la realizzazione dell'area. La concessione avrà durata cinquantennale e riguarderà un reliquato stradale nel territorio del Comune di San Michele Mondovì: circa 820 metri quadrati lungo la strada provinciale 34 di valle Mongia. L'area dovrà essere messa a disposizione della collettività e utilizzata unicamente per scopi istituzionali.
IL MESSAGGERO UMBRIA
6 DICEMBRE 2009
Una macchina l’ha investita ed è morta
Provincia di Perugia - Una macchina l’ha investita ed è morta. Ma la giovane lupa, che ieri mattina si è scontrata con un’auto lungo la strada provinciale 169 del Pantano, era chiaramente già molto malata. Debilitata molto probabilmente a causa della rogna. Chi l’ha trovata ha notato infatti subito sul suo cadavere segni di sofferenza molto evidenti, al di là delle conseguenze dell’incidente che l’ha uccisa.
Sul luogo del rinvenimento sono intervenuti agenti della polizia provinciale, allertati dagli addetti alla vigilanza stradale. Gli agenti hanno contattato il servizio veterinario della Asl, che a sua volta ha disposto il trasporto della carcassa della lupa all’Istituto zooprofilattico di Perugia per i necessari accertamenti. Secondo gli esperti, proprio le cattive condizioni di salute dell’animale potrebbero essere all’origine del suo allontanamento dall’habitat naturale. Infatti, la presenza di un lupo in zona (l’incidente è avvenuto in località Valenzino) è considerato un fatto del tutto eccezionale e probabilmente solo la malattia potrebbe aver fatto allontanare l’animale dal suo solito ambiente.
IL MESSAGGERO
6 DICEMBRE 2009
Il Bioparco aderisce oggi alla maratona “Corri per Telethon”
DOMENICA
ROMA - Il Bioparco aderisce oggi alla maratona “Corri per Telethon” - gara all’interno di Villa Borghese con partenza da viale dell’Uccelliera - offrendo uno sconto di 2 euro a tutti coloro che si presenteranno alla biglietteria con il pettorale. Premiazione prevista alle 12 su largo Gassman. Martedì prossimo 8 dicembre, invece, l’Associazione Romana Ornicoltori organizza a titolo gratuito un concerto di Canarini Malinois, al Teatro del Pinguino. Appuntamento dalle 11.30 alle 15. Nel corso dell’iniziativa gli esperti daranno informazioni sulla storia del Canarino Malinois e distribuiranno delle pubblicazioni al fine di far comprendere il significato dell’adozione di canarini come animali domestici. Bioparco, piazzale del Giardino Zoologico 1. Aperto dalle 9,30 alle 17. Entrata gratuita per bambini al di sotto di un metro; fino a 12 anni 8 euro; adulti 10. Info: 063608211.
CORRIERE ADRIATICO
6 DICEMBRE 2009
Il cappottino è una protezione necessaria
Cappottino sì o cappottino no? Una domanda che assilla molti proprietari di cani, particolarmente premurosi ed attenti alla salute del piccolo amico a quattro zampe.
In particolar modo coloro che vivono accanto a cani di piccola taglia, spesso si vedono deridere per la scelta di far indossare ai loro fedeli amici cappottini variopinti, impermeabili e quant’altro. In effetti, talvolta si cade nell’eccesso e la funzionalità viene quasi soffocata dalla leziosità, ma anche questo fa parte del gioco della cura, nel quale spesso i cani ci trascinano. Accattivanti nelle loro minute pose, possono conquistarci e traviarci nell’acquisto, ma alla fine dei conti ciò che a noi interessa è valutare se e quando sia opportuno optare per la scelta dell’uso del cappottino. Effettivamente, al di là della morfologia dei cani di piccola taglia, forgiata su caratteristiche che tipicamente ricordano quelle del cucciolo e che immancabilmente suscitano le nostre attenzioni ed un particolare senso di protezione, i soggetti di taglia piccola tendenzialmente possono essere più delicati. Le dimensioni, il tipo di mantello, la bassa statura che li avvicina a freddo e umidità, possono contribuire a infreddolire oltre misura questi piccoli amici. Inoltre, più in generale, è necessario tener conto del fatto che molti cani, fortunatamente, oramai vivono in casa, dove le temperature medie superano di gran lunga quelle che si ritrovano all’aria aperta durante una passeggiata invernale. La vita in casa non permette un graduale adattamento del cane al discendere delle temperature. Il sottopelo si fa meno ricco e la sua funzione isolante può non esser del tutto efficace. Così le uscite invernali, quelle che trasferiscono il caro amico dal calduccio del divano al gelo del parco, possono provocare problemi respiratori ma anche articolari, magari più a lungo termine. Per questa ragione sarebbe opportuno tener conto che ogni cane da salotto, quello che in estate e in inverno vive al fianco dell’amata famiglia, dovrebbe essere sempre tutelato da correnti d’aria, sbalzi di temperatura e umidità. Che ci piaccia o no, contro ogni sorriso sarcastico del passante, sarà bene munirsi di cappottini, più o meno leziosi secondo il proprio gusto personale, ma che possano proteggere l’amico cane nelle giornate più fredde e umide. E’ possibile che sulle prime il caro Fido possa mostrarsi alquanto perplesso, sentendosi addosso qualcosa del tutto sconosciuto, sentendosi fasciare da un abbraccio che non lo molla. Potrebbe grattarsi, divincolarsi o bloccarsi immobile e smarrito. Sarà vostra cura abituarlo gradualmente ad indossare questo strano oggetto e sceglierne uno non tanto sull’onda del vezzo ma per la sua praticità. E giorno dopo giorno il caro Fido non potrà che apprezzare. Ancor più sarà opportuno adottare questa abitudine se il cane è di piccola taglia, se il mantello è raso, se l’età è critica – cucciolo o anziano. La terza età di Fido ne trarrà vantaggio. Garantito.
Maria Chiara Catalani*,*medico veterinario comportamentalistaconsigliere Sisca,
ALTO ADIGE
6 DICEMBRE 2009
Troppi cervi, la cura tra abbattimenti e zone senza caccia
Maddalena Di Tolla Deflorian
Un tempo nel fondovalle i cervi vivevano nelle anse dei fiumi, popolati da lontre. Le lontre sono scomparse e i cervi si trovano nelle zone boscose in quota, lontano dalla diffusa presenza antropica. I Parchi hanno avuto nelle Alpi, nel secondo dopoguerra, un ruolo fondamentale nella conservazione dell’ambiente e della fauna. «Allora c’era un deserto faunistico e meno sensibilità per questi aspetti», spiega Luca Pedrotti, esperto faunistico. «I Parchi - continua Pedrotti, biologo, esperto di ungulati e Coordinatore Scientifico dello Stelvio - furono dei capisaldi per avere aree di conservazione, dove i sistemi naturali potessero evolvere. Per il cervo, ad esempio, il Parco Nazionale dello Stelvio è stato importante. Nelle Alpi comprese tra Svizzera, Austria, Liechtenstein la ricolonizzazione fu spontanea e il corridoio di migrazione verso sud era nella zona del Parco». Luca Pedrotti è intervenuto l’altra sera al Museo di Scienze naturali, a Trento, per illustrare la delicata situazione della specie nel settore trentino del Parco, portando i dati degli ultimi censimenti e le proposte di gestione. Titolo dell’incontro: «Tra conservazione della biodiversità e conflitti: il cervo nel Parco nazionale dello Stelvio». «Il Parco ha funzionato bene: oggi la densità di cervi è elevata ma anche problematica per l’ecosistema, in tutti i tre settori (trentino, alto-atesino e lombardo). Se ne parla da anni. Nel 1997 fu istituito il Gruppo di Ricerca Cervo. E’ il momento di intervenire» commenta più che convinto Pedrotti. Ma che cosa succede? I cervi trovano rifugio nel Parco (dalla caccia e da altri disturbi antropici) e vi si concentrano. La popolazione nel settore trentino (Val di Sole, zona Parco e aree limitrofe) oscilla tra 2000 e 2700 individui. Complessivamente nel Parco ci sono 10.000 cervi, circa il 20 % della popolazione delle Alpi italiane. La densità media è elevata: circa 23 animali per chilometro quadrato (100 ettari) nel 2008. Il dato più alto nella storia del Parco. L’inverno scorso è stato molto nevoso, la mortalità è stata circa 700 cervi nel settore trentino, così la popolazione attuale sarebbe di 2000 animali. «L’elevata densità causa una serie di impatti. Innanzitutto sul bosco: i cervi mangiano i germogli, azzerano o riducono fortemente la rinnovazione di larici e abeti rossi su ampie porzioni di bosco. Vediamo una semplificazione del bosco e una forte modifica del sottobosco, con la perdita della fascia arbustiva e la formazione di tappeti erbosi a calamagostris. Questo ha un impatto negativo su due specie di tetraonidi: gallo cedrone e gallo forcello, che hanno popolazioni stabili o in crescita in alcune aree della Val di Sole ma sembrano in diminuzione nelle zone di svernamento del cervo. Dovremo verificare negli anni l’evoluzione», spiega Pedrotti. Vi sono poi interazioni con altre specie di ungulati: sfavorevoli per il capriolo ad esempio. La densità di questa specie risulta ridotta in Val di Sole. La causa è, secondo le tesi dell’Ente, la competizione alimentare e nell’uso spaziale con il cervo. Anche il camoscio è in riduzione nel settore trentino del Parco (del 40% negli ultimi 15 anni), per cause in parte (non solo) legate alla densità del cervo. L’obiettivo del Piano di Gestione ora è ridurre della metà la popolazione di cervi dentro il parco, in parte con una dislocazione delle femmine e in parte con un programma di abbattimenti, che è già attivo da diversi anni in Alto Adige e da poco è stato deliberato in Lombardia. La consistenza complessiva della popolazione in Val di Sole rimarrà invariata, diminuendo la pressione venatoria all’esterno dell’area protetta. Questa è la parte più indigesta e criticata dagli ambientalisti, la più difficile e paradossale da attuare per un Parco. Si contesta il precedente di sparare dentro un Parco Nazionale, si mettono in dubbio anche i danni effettivi, si chiede un abbattimento selettivo e una valutazione strategica. La seconda azione sarà creare fuori dal Parco una rete di piccole zone di rispetto, prive di disturbo e senza caccia, inducendovi nuclei di femmine, che attirando i maschi spostino parte della popolazione, diminuendo la pressione altrove. Questa rete esiste già in parte, si deve implementare e monitorarne gli effetti nel tempo. Nel Cantone dei Grigioni, nel Parco Nazionale svizzero, lo si fa già. Il sogno di aree protette dove la natura possa evolvere liberamente è tramontato, forse. Nei grandi Parchi africani come nelle Alpi. L’uomo condiziona tutto. «Credo che sia arrivato il momento di fare un passo avanti nella gestione delle aree protette. Dobbiamo pensare a una pianificazione globale, una conservazione graduata in tutto il territorio. Il ruolo dei Parchi cambia», conclude Luca Pedrotti.
L'UNIONE SARDA
6 DICEMBRE 2009
Sulcis, sono scomparsi i cinghiali
Compagnie di caccia grossa deluse
Sandro Mantega
Le battute si susseguono: i cani, i battitori, la posta in mezzo ai boschi. Ma sempre più spesso le compagnie di caccia grossa tornano a casa con il carniere vuoto. Niente cinghiali. Nel Sulcis non si era mai vista una stagione così magra, confermano i vecchi capo-caccia. Al punto che sta prendendo corpo l’ipotesi di sospendere la stagione venatoria (ma solo per la caccia al cinghiale) dopo appena sei giornate e quando ne mancano ancora dodici alla conclusione.
Per ora è un’ipotesi. Intanto la realtà è che i cinghiali sembrano scomparsi. Alla Forestale di Santadi confermano che sono stati pochissimi, fino ad ora, gli esemplari catturati nei boschi che ricoprono la foresta del Sulcis, nei territori di Siliqua, Santadi, Nuxis , Narcao e Giba. Pochi cinghiali vengono segnalati anche nell’oasi di Monte Arcosu, al riparo dalle doppiette. La causa? La penuria di selvaggina ha una matrice ben definita: la stagione-record dello scorso anno. Complice la siccità e la carenza di cibo (in particolare di ghiande) i cinghiali scesero in massa a valle e finirono dritti davanti alle doppiette dei cacciatori. La stagione si chiuse con un carniere-record, oltre duemila capi abbattuti. Le compagnie di caccia si scatenarono trascurando il fatto che in quel modo avrebbero finito con lo sterminare i cinghiali. Perché vennero catturate anche moltissime scrofe, quelle che avrebbero dovuto assicurare il ripopolamento delle montagne. Così la riproduzione dei cinghiali è stata ridottissima con il risultato che molte delle spedizioni di caccia grossa, quest’anno si trasformano in battute in bianco, dove non si spara neppure un colpo e al termine delle quali si scende a valle con il carniere desolatamente vuoto. Per evitare che il depauperamento continui gli esperti (e gli stessi cacciatori) non intravedono che una soluzione: ridurre drasticamente la stagione venatoria al cinghiale limitando le giornate di caccia se non sospendendola del tutto. Sono stati gli stessi cacciatori a sollecitare in intervento in quella direzione alla Forestale che sta raccogliendo le segnalazioni che arrivano dai capocaccia. Segnalazioni che sono state trasmesse alla Regione cui spetta una decisione (con il parere del Comitato regionale faunistico) un merito. Proteggendo i pochi capi rimasti ancora soprattutto nelle zone protette, infatti, si agevolerebbe il ripopolamento della selvaggina che popola le montagne del Basso Sulcis.
CORRIERE ADRIATICO
6 DICEMBRE 2009
Gli parte un colpo dal fucile durante una battuta al cinghiale
Cacciatore si spara a un braccio
Lunano (PU) - Incidente ieri, intorno alle 16, a Paganica, vicino Lunano ma località nel territorio comunale di Urbino. Durante una battuta di caccia al cinghiale, è rimasto ferito Antonio Benzi, 45 anni, piccolo imprenditore mobiliero di Piandimeleto. L’uomo partecipava alla battuta assieme a una trentina di cacciatori della squadra di cinghialai di Lunano.
All’improvviso dal suo stesso fucile è partito un colpo a palla unica che ha centrato l’avambraccio procurandogli una ferita lunga circa 20 centimetri. Non è chiaro se il colpo sia partito per una caduta accidentale o a causa dei cani che saltandogli addosso avrebbero azionato il grilletto. Subito soccorso dai compagni di battuta, l’uomo è stato affidato sulle prime alle cure del personale dell’ambulanza della Potes di Sassocorvaro che lo ha portato nell’ospedale di Urbino. Il cacciatore dovrebbe essere trasferito in un centro specializzato per la ricostruzione del muscolo e della pelle dilaniati dal colpo.Non è certo il primo caso di incidente durante la caccia al cinghiale nel nostro territorio. Infatti, si tratta di una attività venatoria che richiede molta disciplina e organizzazione perché coinvolge decine di cacciatori in territori impervi e spesso nel mezzo della boscaglia dove per distrazione o superficialità si possono scambiare i movimenti dei compagni per quelli dell’animale braccato.
IL GAZZETTINO
6 DICEMBRE 2009
Caccia con cani vaccinati
VITTORIO VENETO (TV) - Il sindaco Gianantonio Da ha scritto all’assessore regionale Elena Donazzan sulla sospensione della caccia con il cane nelle province di Belluno e Treviso per il pericolo di della rabbia silvestre. «Le chiedo - dice Da Re - una moratoria per i possessori di cani già vaccinati da almeno venti giorni. Una scelta già adottata in Friuli Venezia Giulia su basi tecnico-scientifiche».
CORRIERE DELLE ALPI
6 DICEMBRE 2009
Antirabbica per tutti i cani
FELTRE (BL). Vaccinazione antirabbica obbligatoria anche a Feltre per i cani. Lo ha disposto il sindaco Vaccari con un’ordinanza firmata venerdì, affidando all’Usl il compito di sottoporre a trattamento i cani con più di tre mesi e i controlli sierologici a campione. La campagna di vaccinazione dovrà essere completata entro gennaio. Nell’ordinanza anche il divieto di toccare animali sospetti e di entrare in contatto con animali selvatici delle specie ricettive, in particolare le volpi.
ANSA
6 DICEMBRE 2009
Capodanno: stabili consumi zamponi e cotechini
Coldiretti: previsti 8 milioni pezzi venduti, aumentano richieste artigianali
ROMA - Saranno circa 8 milioni i cotechini e gli zamponi consumati durante le festività di fine anno durante le quali viene consumato quasi il 95% della produzione nazionale. E' quanto stima la Coldiretti nel sottolineare che con un aumento del 3% sono le spese per gli alimentari a far registrare la maggiore crescita durante le festività di Natale a conferma della tendenza a fare acquisti utili per se stessi e gli altri. Se un italiano su tre con la propria tredicesima, secondo l'indagine Confesercenti Swg, farà regali utili come cibo e vini, cotechino e zampone saranno presenti sulla tavola di poco meno della metà delle famiglie italiane ma a fronte di una sostanziale stabilità della domanda, Coldiretti rileva un aumento della richiesta per cotechini e zamponi artigianali magari acquistati direttamente dagli allevatori che sono gli unici che garantiscono la presenza di carne italiana al 100%.La maggioranza della produzione nazionale è certificata come Cotechino e Zampone di Modena IGP. Immancabili insieme a due piatti storici ci sono le lenticchie chiamate a "portar fortuna" con un consumo stimato di 5mila tonnellate. Particolarmente ricercate sono quelle Castelluccio di Norcia IGP ma anche quelle inserite nell'elenco delle specialità tradizionali nazionali come le lenticchie di S.Stefano di Sessano (Abruzzo), di Valle agricola (Campania), di Onano, Rascino e Ventotene (Lazio), molisane (Molise), di Villalba e Ustica (Sicilia) o le altre umbre. La nascita dello zampone viene fatta risalire intorno al 1511, anno in cui le truppe di Giulio II, papa guerriero, assediarono Mirandola, fedelissima alla Francia e patria di Giovanni Pico della Mirandola, ancora ricordato per la sua prodigiosa memoria. Gli abitanti della città presa d'assedio, per non lasciare ai nemici i pochi suini rimasti, li uccisero tutti e per non sprecare la carne in un solo momento la affidarono ad un cuoco di Pico. Questo personaggio ebbe la brillante idea di tritare tutta la carne e miscelarla, com'era uso nella cucina rinascimentale, con molte spezie. Una volta completata questa operazione inserì il composto nella pelle delle zampe anteriori dei maiali, per poterlo conservare a lungo e cuocerlo al momento opportuno. Nacque così il prototipo del famoso e ancora attualissimo zampone di capodanno.
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CORRIERE FIORENTINO
6 DICEMBRE 2009
Influenza A Ricerca sulle possibili ricombinazioni: per prevenirle
Il laboratorio «blindato» che studia il virus futuro
Franca Porciani
A Lione verrà tentata la fusione aviaria-H1N1
Potrebbe essere il virus influenzale più cattivo che si sia mai visto sul pianeta il nuovo «sorvegliato speciale» del laboratorio di sicurezza Bsl-4 (massimo livello di protezione nei confronti di microrganismi micidiali) del-- l’Inserm di Lione. Supervirus che dovrebbe mettere insieme la letalità di quello dell’aviaria (ha portato a morte più della metà delle persone che ha colpito) con la grande capacità di contagio dell’influenza A. Se il mix riuscirà, si sperimenteranno - sugli animali, ovviamente - tutti gli antidoti possibili; in caso di insuccesso, virologi e agenzie sanitarie nazionali tireranno un sospiro di sollievo: le probabilità che il riassortimento avvenga spontaneamente, portando a qualcosa di micidiale sono evidentemente, scarse. È, comunque, la prima volta che un virus influenzale entra in un laboratorio di massima sicurezza e stando a quanto riferisce la rivista Nature l’esperimento è imminente: si aspetta solo l’approvazione dell’agenzia governativa francese. Autore dell’operazione nell’istituto bunker di Lione, definito, non a caso, la «fortezza di vetro», un virologo di grande esperienza, Bruno Lina. «Non è un’impresa semplice — commenta Giovanni Rezza, direttore del dipartimento di malattie infettive dell’Istituto superiore di Sanità —. Il genoma dei virus influenzali è composto da otto segmenti e si deve realizzare uno scambio di materiale tra di loro nel momento in cui si trovano ad infettare una stessa cellula. Non è detto che si riesca a 'guidare' questo processo in laboratorio così da produrre un virus ricombinato come vogliamo». Nel 2005 Lina tentò questo miscuglio fra l’aviaria e l’influenza stagionale; purtroppo senza successo. «Se l’esperimento riuscirà — aggiunge Rezza — saremo di fronte ad un modello sperimentale contro cui testare farmaci e sul quale mettere a punto sistemi capaci di monitorare, nel genoma dei virus influenzali circolanti, i punti chiave per il riassortimento». Ma quale certezza abbiamo che questo supervirus dell’influenza, qualora si riesca a crearlo, non scappi dal laboratorio attraverso un animale infetto? Quando nel 2005 fu ricostruito il virus della Spagnola a partire dai segmenti genici del virus ritrovati nei polmoni di una vittima deceduta in Alaska nel ’18 e rimasta intatta nel suolo eternamente ghiacciato, molti gridarono allo scandalo: il pericolo della fuga dal laboratorio sembrava più grande dei vantaggi che da quella «rinascita» si possono ricavare. Ma che qualcosa scappi da questi bunker P4 (sette in Europa al momento attuale, altri sei in costruzione) sembra difficile: le stanze di ricerca, blindate, hanno un sistema di aerazione a pressione negativa, che risucchia eventuali fughe di virus, i vetri sono a prova di proiettile. I costi però sono proibitivi: solo per la manutenzione l’istituto di Lione richiede un milione e mezzo di euro all’anno. In Italia l’unico laboratorio di livello 4 è a Roma, presso l’Istituto Spallanzani. «Il nostro lavoro su virus pericolosi, come l’Ebola e il Marburg — informa Maria Capobianchi, direttore del laboratorio di virologia dell’istituto — si limita allo studio dei metodi per la diagnosi». Ma a Lione che cosa accadrà? [email protected] Manipolazione Se la «fusione» biologica riuscirà, verranno sperimentate tutte le possibili contromisure La protezione Ecco come si presentano i ricercatori che lavorano nei laboratori Bsl-4 di Lione: rinchiusi in pesanti scafandri, indossano guanti a più strati; per diventare operativi devono fare un addestramento di 200 ore. |