Una foto in bianco nero che ritrae un orso: la zampa penzoloni e il muso proteso aldilą delle sbarre della sua gabbia. Uno sguardo rassegnato che non chiede aiuto, poichč sa ormai che nessun aiuto gli verrą mai elargito. Occhi stanchi e velati da un desiderio impossibile da esaudirsi, eppure cosģ tanto facile da attuare. "Fatemi uscire vi supplico", sembra implorare. "Non vedete la mia sofferenza, la mia disperazione? Non mi divertono le vostra risate, le urla e gli strilli dei vostri cuccioli che mi guardano da dietro i bastoncini di zucchero filato. La mia vita č fra queste sbarre, in questa gabbia stretta e angusta, ma la mia anima č nelle foreste, fra l'odore del muschio e il fischiare dei venti. La libertą che mi avete tolto per dissetare le vostre curiositą sadiche č superficiali. mi hanno condannato alla prigione a vita. Che cosa ho fatto per meritarmi tanto dolore? Non esiste nessuna pietą nei vostri cuori per noi, creature da sempre alla mercč di voi umani, crudeli, spietati, che non conoscono la compassione?" Noi abbiamo messo i leoni in gabbia, i leopardi nei giardini zoologici e i rinoceronti neri nelle riserve. Noi prendiamo "gli animali selvaggi" e li mettiamo in cattivita'; o, al massimo, garantiamo loro una liberta' sorvegliata. In questo modo li trasformiamo in creature miserabili, psicologicamente handicappate, in anormalita' sessuali e talvolta in veri pagliacci. Jacques Yves Cousteau
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