Egregi signori
Più volte abbiamo sollevato il tema dei bufalini, senza riscontro.
L'industria della mozzarella non ha bisogno dei maschi e i bufalini appena nati vengono strappati alla madre e abbandonati nei campi, buttati nei fossi, soffocati con la paglia, seppelliti ancora vivi o lasciati vagare fino alla morte per inedia.
Le istituzioni conoscono questa pratica, i mass media ne riportano puntualmente il resoconto.
Leggiamo gli articoli in calce e inorridiamo perchè scopriamo un essere umano infernale e ci ribelliamo perchè non vogliamo rispecchiarci in costui.
Noi ci auguriamo che gli italiani diventino sempre più etici e meno indifferenti alla sofferenza degli animali.
Che non ci siano più bufalini maschi che muoiono appena nati o da grandi.
Che non ci siano animali per i quali debba essere applicata quella complessa disciplina di tortura che si chiama zootecnia. La cui invenzione ha rimosso qualsiasi senso di responsabilità nei confronti di esseri senzienti e volutamente ignorato le loro caratteristiche di esseri soggetti di una vita.
Quand'è che prenderemo coscienza dello sterminio di massa istituzionalizzato che pervade con il suo orrore gli allevamenti di animali da latte, da uova o da macello?
Poichè non riusciamo a sperare nelle leggi ma soltanto nell'etica individuale, ci auguriamo che con il passare del tempo la capacità di riflessione di un sempre maggior numero di persone restituisca valore alla vita degli animali e alla nostra dignità umana con la scelta di un'alimentazione incruenta.
p.s. articoli di cronaca in allegato
VILLAGGIO GLOBALE
3 OTTOBRE 2005
Tutti i retroscena della produzione casearia in Campania
Stop alla strage di bufali... è meglio macellarli da grandi
Il mercato della produzione di latte per le note mozzarelle non consentiva l'allattamento dei piccoli né il latte in polvere è adatto da qui un'alta percentuale di morti nei primissimi giorni di vita con conseguenze igieniche preoccupanti oltre che etiche. Ma l'interesse per la carne ha invertito la tendenza
Zoomafie, alta mortalità di bufali maschi, super utilizzazione del latte di bufala a scapito dell'allattamento dei cuccioli, diossina nel latte... insomma le blasonate mozzarelle di bufala della Campania hanno un alto costo dal punto di vista ambientale ed etico. Un fenomeno che ha messo in piedi negli anni scorsi un florido commercio non sempre trasparente e che ora pare ridotto di almeno il 50 per cento, non perché siano aumentati controlli e sensibilità ma semplicemente perché ora è diventato conveniente lasciar vivere i bufali perché servono per la riproduzione e a breve sarà lanciato alla grande il commercio di carne... Ma la mortalità resta sempre alta e poiché l'abbandono delle carcasse e la macellazione clandestina non sono proprio l'ideale della sicurezza, publicchiamo un dossier che fa il punto della situazione e una breve intervista con il dottor Pasquale Campanile, responsabile del Dipartimento prevenzione e servizi veterinari Asl Caserta 2, che ha il polso della situazione. Ma tanti restano gli interrogativi che interpellano la coscienza civile. A parte il problema di etica animale che finisce sempre per diventare secondario di fronte agli interessi economici degli umani, c'è un problema di salute pubblica a cui la Campania, per la mole di problemi irrisolti che ha, non può permettersi di sottovalutare. Infatti, con i tanti allevamenti presenti soprattutto nel Casertano, pur se minore, la presenza di carcasse animali non dovrebbe lasciar dormire sonni tranquilli. La natalità e la morte vanno controllati, lo smaltimento pure. E i clandestini? È veramente facile così facile nascondere una mandria? La nostra inchiesta si basa su dati e commenti ufficiali, già resi pubblici in svariati dossier. Ad esempio, a proposito delle zone destinate all'allevamento bufalino, la stessa Cia (Confederazione Italiana Agricoltori della Campania) ha dichiarato che «l'impressione generale è quella di un territorio al di fuori dello stato di diritto». Pesanti anche le conclusioni della Dia (Direzione Investigativa Antimafia): «Troppo spesso la criminalità organizzata riesce ad infiltrarsi nel tessuto produttivo del Sud, assoggettando uomini, animali e beni ai propri obiettivi ed esercitando pressioni tali da mantenere una diffusa omertà». Un discorso ancora ampiamente aperto né la diminuzione della mortalità dei piccoli di bufala può far abbassare la guardia.
******************************
Intervista a Pasquale Campanile, responsabile del Dipartimento prevenzione e servizi veterinari Asl Caserta 2
I bufalotti non si uccidono più da piccoli ma da grandi
Un fenomeno che si è ridotto del 50% rispetto a qualche anno fa
Ignazio Lippolis
Dottor Campanile che succede ai bufalotti maschi degli allevatori che sono uccisi o muoiono spontaneamente?
«Il fenomeno era massiccio anni fa, ora succede questo: innanzitutto la mortalità è sempre molto alta, praticamente subentra a 4-5 giorni...». È strano... «No, no, è una mortalità spontanea, non è che vengono uccisi, e accade perché il latte costa molto e non vengono nutriti dalle madri ma mediante latte in polvere come si usa per i vitelli bovini, ma è un latte non adatto a loro e provoca problemi a livello gastro-enterico...». Fanno così per utilizzare il latte nella produzione di mozzarelle... «Certo, del resto anche per i bovini avviene la stessa cosa... è una pratica diffusa in tutto il mondo. C'è poi un altro fatto, ora c'è la tendenza a crescere i maschi, perché essendo la mozzarella una produzione prevalentemente estiva si cerca di destagionalizzare la produzione facendo ingravidare in altro periodo dell'anno le bufale. Per ottenere questo risultato è necessario avere molti maschi. Per far ingravidare 100-110 bufale e farle partorire da gennaio a giugno è necessario mettere nella mandria un numero più alto di maschi poiché si tratta di un processo naturale sensibile alla luce del sole e quindi tende a diminuire con l'arrivo della bella stagione. Quindi per ottenere il massimo risultato si utilizzano più maschi... questo non vuol dire che il fenomeno non esiste». Ma ci sono dati? «Dati ufficiali no, però si può dire che il fenomeno è ridotto del 50%. In sintesi: da una parte c'è un 30% che muore per la mortalità nel primo mese di vita che è sempre esistita e che gli allevatori non riescono ad arginare; dall'altra parte i maschi servono. Su cento nascite 50 sono maschi e 50 sono femmine, su 50 maschi 30 vanno lasciati sviluppare, una decina muoiono e un'altra decina è sacrificata. Questa è la situazione che percepisco agendo sul territorio, ma dati ufficiali non ce ne sono». C'è una carenza nei controlli, ci possono essere complicità dei veterinari per la mancanza di denunce dei capi morti? «Quando ci sono i casi di morte nei primi giorni di vita i veterinari non sempre avvisano. Complicità è difficile che si sviluppi perché i veterinari sono sotto tiro e sotto il controllo della magistratura, dei Nas, del Noe... ma deve anche pensare che nella zona di Caserta 2 ci sono 800 allevamenti di bufale, il personale preposto per i controlli conta su 22-23 unità, come si fa a controllare tutti?...». Il solito problema dei controlli in Italia...«Su questo non sarei così negativo. In Italia vi sono 7.000 veterinari pubblici, in Francia ve ne sono 600 tanto che in Francia è scoppiata la Bse... i controlli li facciamo solo che non si riesce ad essere capillari. Una cosa è certa: il fenomeno è in diminuzione e i maschi servono per la riproduzione ed anche perché fra poco la vendita di carne di bufalo sarà lanciata in grande stile...».
******************************
Un tema di benessere animale rimasto nell'ombra
Immolati sul mercato della mozzarella di bufala
La produzione di un formaggio non è percepita come potenziale causa di crudeltà e poi si presume che l'allevamento bufalino rispetti le norme vigenti a livello Comunitario. L'impegno delle Associazioni e delle forze dell'ordine
Maura Vendemia
Le bufale devono continuamente partorire per mantenere l'assetto ormonale della lattazione e trascorrono la loro esistenza gravide oppure muggendo alla ricerca della prole. L'allattamento sarebbe antieconomico, quindi i vitelli vanno allontanati al più presto e svezzati artificialmente in anguste gabbie singole per evitare che altrimenti si suggano istintivamente tra loro.
Sin qui la situazione è analoga a quella dell'allevamento bovino ma ben diverse sono le richieste del mercato per i due settori. Attualmente in Italia la carne di bufalo incontra scarso favore, per cui l'obiettivo precipuo dell'allevamento è la produzione del latte per l'industria casearia. Ne consegue un surplus di neonati maschi da eliminare nel modo meno dispendioso possibile. La mattanza è proseguita indisturbata per anni, con metodi barbari (dall'uso di mazze all'impiccagione) e comunque non conformi alle leggi per il benessere degli animali, neppure di quelli da reddito. Indisturbata perché pare che se ne siano rese conto solo le associazioni di volontariato che fronteggiano il problema sul campo come la Lav (Lega Anti Vivisezione), legambiente e la Fondazione «Mondo Animale» creata dalla veterinaria Dorotea Fritz. A differenza di altri temi animalisti, questo è tuttora nell'ombra: innanzitutto perché la produzione di un formaggio non è percepita come potenziale causa di crudeltà, poi perché si presume che l'allevamento bufalino rispetti le norme vigenti a livello Comunitario. Invece pare quasi si tratti di un mondo a parte. Poiché lo smaltimento a norma ha un costo di circa 200 euro per capo, talvolta i cadaveri, o i presunti tali, vengono seppelliti in «fosse comuni». Come si vedrà più avanti, vi è anche la finalità di eludere i controlli sanitari. Sino allo scorso anno capitava di trovare bufalotti in avanzato stato di putrefazione lungo il ciglio delle strade di campagna e addirittura lungo canali d'irrigazione, con buona pace della salubrità delle falde. Poi il caso ha voluto che, nell'estate del 2004, alcuni turisti stranieri si rendessero conto della situazione e, al ritorno in patria, si attivassero per chiederne conto al nostro Governo. Per ora si è trattato semplicemente di lettere nelle quali si poneva l'accento sia sugli aspetti etici della zootecnia sia sui rischi per la salute pubblica, laddove si eludessero i controlli da parte dei Servizi Veterinari. La risposta della regone Campanaia è stata cortese e sollecita. Questo, insieme alla testimonianza della dottoressa Fritz che iniziava a riscontrare un certo interesse da parte delle autorità ha scongiurato un'azione di boicottaggio che avrebbe avuto pesanti ricadute sul nostro export. Basti pensare che la quasi totalità della mozzarella di bufala consumata negli Stati Uniti proviene dall'Italia e dal Sudamerica, per non parlare della recente conquista del mercato giapponese, e si comprenderà quanto sarebbe opportuna una maggior trasparenza. Soprattutto occorrerà render conto di quanto si sta facendo per cambiare rotta ed eliminare ogni ombra dall'immagine del nostro prodotto. Altrimenti, in assenza di rigorosi provvedimenti e di risposte concrete, all'estero si rinnoverebbe il malcontento. Si rischierebbe d'intaccare una notevole fonte di guadagno per vaste aree del Sud, che già devono combattere contro difficoltà ataviche. Poiché esistono paesi in cui la quasi totalità di abitanti è composta da addetti alla produzione e dalle loro famiglie, è logico aspettarsi reazioni forti. Già se ne ha sentore quando si chiede una testimonianza diretta: o ci si scontra contro un mutismo ostile oppure si raccolgono gli sfoghi di chi implora l'anonimato perché ogni giorno deve far quadrare l'istinto di ribellione con i bisogni più ovvi, dall'evitare ritorsioni al sentirsi accettato nella propria comunità. Si è già compiuto un primo passo facendo in modo che i bufali maschi venissero acquistati da aziende produttrici di cibo per piccoli animali. Tuttavia i ricavi sono esigui e certo non sufficienti a far sì che gli allevatori decidano di accollarsi i costi dell'assistenza veterinaria. Ad esempio si potrebbe presumere che ben pochi dei neonati che s'ammalano di gastroenterite vengano adeguatamente curati; delle due l'una: o li si lascia morire tra atroci dolori, oppure si decide che non ha senso tirare avanti più giorni e li si sopprime. Dubbi più o meno legittimi che, comunque, in altri settori in cui vige la prassi delle certificazioni veterinarie non avrebbero ragione di esistere. Desta qualche perplessità anche la dichiarazione secondo la quale attualmente verrebbe destinato un maggior numero di maschi alla riproduzione. Ossia il presunto rapporto di un maschio ogni due femmine parrebbe eccessivo, persino se la fecondazione avvenisse esclusivamente con metodi naturali. Anche in questo caso sorprende la mancanza di dati ufficiali cui far riferimento per portare un po' di chiarezza, anziché limitarsi a mere supposizioni a favore dell'una o dell'altra tesi. Così non resta altro che tentare un ragionamento deduttivo: nella sola Campania i bufali sono quasi 300.000 ed al 90% femmine. Poiché esse partoriscono dai tre ai diciannove anni di età, per l'anno appena terminato se ne possono calcolare 200.000 in età fertile il che significa 100.000 neonati maschi. Pur prendendo per buone le dichiarazioni più ottimistiche, viene comunque da chiedersi quale sia stato nel 2004 il destino di oltre 50.000 bufalotti e come si siano volatilizzate altrettante carcasse. Proviamo a traslare la questione al parco auto italiano: sarebbe possibile risparmiare denaro evitando la voltura al momento dell'acquisto oppure, a scelta, le spese per bollo, assicurazione e revisioni periodiche? Certamente no, perché le probabilità di incappare in un controllo si avvicinano al 100% e, quand'anche ci si limitasse a circolare sul terreno pertinente alla propria cascina, il rischio di essere scorti dai vicini e denunciati risulterebbe troppo elevato. E ancora: non ci si può semplicemente disfare della propria vettura, ma occorre «consegnare le targhe» e versare una quota per la demolizione. Altrimenti saremmo individuati tramite il Pubblico Registro Automobilistico, che sta alle auto come l'Anagrafe Veterinaria sta ai capi da allevamento. |
Messaggio pubblicato sul "IL TEMPO" DEL 15/10/2005