Egregi signori
Leggiamo l'articolo allegato e le dichiarazioni del Presidente della Federcaccia.
Mai sfacciataggine ci è sembrata più sfacciata.
Forse il presidente della Federcaccia ignora che chi va a caccia uccide gli animali, non li protegge. Ma, se rispettare la natura vuol dire ucciderne la vita, costui ha ragione: i cacciatori che uccidono soltanto le specie ammesse dalla legge sono amanti della natura e degli animali mentre sono i bracconieri, che uccidono le specie proibite dalla legge quelli che la odiano.
La favola del cacciatore naturalista ci è venuta a noia e suggeriamo al sig. Timo di inventarsene una nuova.
Costui invoca il rispetto per i cacciatori. Sì, lo avremo, quando cesseranno di uccidere ovvero di essere cacciatori e l'onestà intellettuale invocata dal presidente della Federcaccia l'abbiamo già e la dimostriamo sempre quando al verbo uccidere diamo il significato che ha nel vocabolario italiano e anche nel comandamento: togliere la vita.
Chiediamo invece a lui l'onesta intellettuale di riconoscersi uno che ammazza la natura e non soltanto uccidendo i suoi animali ma anche producendo inquinamento genetico quando promuove i ripopolamenti con specie alloctone, immettendo specie in un territorio in cui erano assenti, rompendo gli equilibri tra le specie, inquinando il suolo e le acque con il piombo delle cartucce, imprigionando uccellini in gabbie tanto strette da impedire loro di stendere le ali, rinchiudendo i cani in canili lager per nove mesi e per tre mandandoli a ferire e morire nella caccia al cinghiale, praticando loro interventi "medici" senza anestesia e senza professionalità assimilabili alla vivisezione....................
Ulteriore indicatore di quanto morti siano gli animali per i cacciatori è il linguaggio usato.
Riferendosi a creature con una propria etologia, che soffrono, hanno paura, fame, freddo, allevano i piccoli, li proteggono, in una parola hanno una vita, il presidente della Federcaccia adopera i termini della contabilità: capitale, interessi, incasso, prelievo....ecc.
Chiediamo a lui l'onestà intellettuale (il rigore morale è troppo) di dire pane al pane e vino al vino. Abbia questo coraggio, non si nasconda vigliaccamente dietro funamboliche invenzioni.
E la "cultura"? Quale: quella dell'uccidere? Quella della retroguardia? Quella della violenza con armi da guerra su esseri inermi?
Ai contemporanei l'ardua sentenza.
p.s. articolo di cronaca in allegato
IL TEMPO
mercoledì 14 settembre 2005
«Troppi pregiudizi contro noi cacciatori»
«Chiediamo onestà intellettuale e rispetto: siamo impegnati nella difesa del territorio e della fauna»
Domenica parte la stagione venatoria. Il presidente di Federcaccia Franco Timo replica alle critiche degli ambientalisti
di DANIELE DI MARIO
Domenica parte la stagione venatoria, ma alcune regioni hanno dato via libera alle doppiette già da un paio di settimane, limitatamente ad alcune specie. La preapertura della caccia ha scatenato le polemiche delle associazioni ambientaliste schierate contro i cacciatori. Accuse rispedite al mittente, alla vigilia dell’apertura della stagione di caccia, dal presidente di Federcaccia Franco Timo. «Non andiamo a uccidere specie in via di estinzione - obietta Timo - I cacciatori rispettano sempre le leggi nazionali e regionali. Forse gli ambientalisti ce l’avevano con i bracconieri e in questo senso ci troviamo d’accordo con loro: noi cacciatori rispettiamo la natura, la proteggiamo e siamo contro ogni forma di bracconaggio». Ne ha per tutti il numero uno delle doppiette italiane. Presidente, non negherà che le schermaglie sulla caccia si moltiplicano. «Attorno alle polemiche si crea un approccio emozionale e scientificamente scorretto. Non siamo in polemica con gli ambientalisti, perché anche noi vogliamo proteggere ogni specie protetta e combattere i bracconieri. Però chiediamo onestà intellettuale. Contro di noi ci sono troppi pregiudizi. Un dato basti da esempio: stiamo studiando con i nostri legali la possibilità di costituirci parte civile in tutti i processi per bracconaggio. In questi anni abbiamo dimostrato impegno, i cacciatori si mobilitano in prima persona contro gli incendi. Chiediamo rispetto». Da cosa deriva il pregiudizio nei vostri confronti? «Si pensa alla caccia come a una forma di predazione, ma non è così. Chi va a caccia lo fa solo per passare una giornata a contatto con la natura. Uccidere un animale è secondario anche se può succedere. La caccia è un anello di congiunzione con la natura. Nella disciplina venatoria c’è tanta cultura. È un discorso complesso. In molti Paesi si assiste a vere e proprie mattanze, in Italia no. Però tutti se la prendono con noi e non con i pescatori, in quanto il fucile è sinonimo di violenza, un amo no. Però uccidono entrambi». Non crede ci sia antinomia tra il concetto di difendere la natura e quello di uccidere gli animali? «No, c’è compatibilità tra rispetto della natura e disciplina venatoria. Ci rifacciamo all’idea di "caccia di selezione". Siamo impegnati nella difesa del territorio e della fauna, che contribuiamo a far riprodurre. Dopodiché, quando apre la stagione venatoria, ci limitiamo a prelevare qualche esemplare. In termini finanziari, il capitale rimane intatto, noi incassiamo gli interessi. È una caccia di gestione: si fa un censimento degli esemplari specie per specie, poi si stabilisce quanti se ne possono uccidere. È un ambientalismo dinamico, non statico come quello, dannoso, predicato da qualche associazione». Come risponde a chi dice che la caccia può contribuire a diffondere l’influenza aviaria? «È un concetto non provato scientificamente. Se si scoprisse che il virus dei polli si può trasmettere abbattendo gli uccelli migratori e il governo intervenisse, noi saremmo i primi ad astenerci dal farlo. L’impianto normativo sulla caccia, la legge 157/92, è buono, però andrebbe un rivisto in considerazione della modifica del Titolo V della Costituzione e dell’attribuzione di maggiori poteri alle regioni. Oltretutto, la caccia può far bene anche all’economia se viene sfruttata per finalità turistiche». Però ogni tanto qualcuno perde la vita andando a sparare alle anatre. Si ricorda il caso di quel papà che colpì per sbaglio il figlio e poi si suicidò? «Lo ricordo e dico a tutti i cacciatori di essere prudenti. Meglio tornare a casa senza prede, dopo aver passato una bella giornata all’aria aperta, che rischiare di sparare a degli altri cacciatori. Per questo stiamo mettendo in campo una grande campagna di informazione che comprende il "Decalogo del cacciatore" in modo da ridurre al minimo i rischi di tragedie».
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