Nell’epoca, ormai iniziata da tempo, dell’industrializzazione assoluta, un nuovo modo di far affari si sta affermando, tanto gradualmente quanto potentemente. Questa nuova frontiera del guadagno, questo nuovo modo di far soldi ha un nome ben specifico: si chiama “Canile”. Nelle ultime settimane, a testimonianza di una tendenza ultra utilitaristica puntata al ricavo a tutti i costi, chi vive nel territorio tarantino ha potuto ascoltare cronache di sequestri e chiusure, di multe e inquisiti, di animali e persone, di sfruttati e sfruttatori, il tutto in una cornice costruita sulla speculazione operata sul randagismo. In via Galeso, nel rione Tamburi, a Taranto, capoluogo di provincia pugliese, il canile comunale è stato chiuso. Sequestro, e nove persone smascherate per la loro attività di aguzzini. Condizioni igieniche assurde, tanto pessime da far schifo a chiunque, magari anche a chi agli animali pensa solo quando va a far la spesa in macelleria. Gabbie sovraffollate, letame ovunque, carcasse di animali morti accatastate in attesa di non si sa bene quale resurrezione. E la città non sembra affatto essere sorpresa.In via Galeso, tanto tempo fa, c’era il macello comunale. Riconvertita la struttura, quelle mura furono trasformate in canile. L’odore del sangue dell’ex macello ha cessato d’essere, ma ad esso si è sostituito quello nauseabondo dei cani in fin di vita, delle loro feci, del cibo inesistente, e i vicini ne hanno denunciata l’insopportabilità.La procura della repubblica tarantina alza i pantaloni dell’uniforme dalla sedia, l’ Ausl Taranto 1 fa muovere i suoi funzionari, i carabinieri li accompagnano e, come già detto, nove persone adesso devono rispondere davanti alla città del loro operato da carcerieri.Il canile, all’origine della sua pianificazione, fu programmato secondo accordi ben precisi; la sua funzione doveva essere quella di luogo di passaggio in cui i cani dovevano transitare poche settimane, per essere successivamente assegnati ad un “vero” canile. In realtà altro non sembrava che un obitorio. Avrebbe potuto ospitare al massimo un centinaio di cani, ma nella realtà dei fatti di cani ce n’erano 230. Le gabbie (e basterebbe la loro semplice presenza per comprendere la negazione di dignità imposta a questi esseri non umani) erano sporche, piccole. Accatastate in una cella 140 animali morti, o meglio, uccisi. La società che gestiva questa forma aziendale di sfruttamento si chiama “Tarentum 2000 srl”. Quattro anni fa questa società aveva stipulato con il comune di taranto una convenzione: un milione di euro l’anno, e in più 2.50 euro al giorno per ogni cane, giustificati come spese per il quotidiano mantenimento degli animali. Senza dubbio un buon affare. Chi ne capisce d’economia lo sa; come poter aumentare i guadagni facendo i conti con delle entrate sempre uguali? Semplice, basta abbassare le spese. E così la Tarentum ha fatto:
un milione di euro l’anno +2.5 euro giornaliere per ogni cane presente –le spese inesistenti per la cura degli animali =tanti bei soldini tintinnanti
Ma non finisce qui. La convenzione prevedeva anche la composizione di una commissione di controllo che avrebbe dovuto vigilare sull’attività del canile, ma in realtà tale commissione fu nominata esclusivamente sulla carta. Mai nessun “commissario di controllo” ha mai avuto il coraggio di affacciarsi in quel cimitero.Il consiglio comunale di taranto poi ci ha messo del suo: la sindachessa Rosanna di Bello, insieme ai suoi “delegati dal popolo”, nomina un commissario ai problemi del randagismo (segretamente nascosto sotto le vesti del consigliere Udc Raffaele Leone), ma di questa magica figura mitologica se ne perdono le tracce fra i corridoi di palazzo. Ora il canile (?) è stato chiuso e i cani sono stati trasferiti nel rifugio del san Raphael, al centro della Salina Grande, anch’essa convenzionata con il comune. Privata, questa struttura viene gestita dalla “Ecolife srl”. Nei programmi la costruzione anche di una clinica veterinaria. Mentre gli uomini fanno progetti, intanto i cani aspettano chiusi in gabbia la costruzione di altre gabbie, più grandi e più numerose, ma pur sempre gabbie.In chiusura una domanda: ma perchè i gestori di questo carcere per animali si sarebbero addossati la responsabilità di sovraffollare uno spazio quale quello presentato con una prospettiva di guadagno di soli 2.50 in più al giorno? La risposta probabilmente sta nel furgone fermato qualche giorno fa nella provincia jonica. Cosa conteneva questo furgone? 45 cani, più o meno in buone condizioni. La destinazione? Germania. E allora?Beh, c’è da dire che in germania si erge e lavora una delle più grandi e tristemente importanti industrie di ricerca pseudo-scientifica, una di quelle aziende che sperimentano sugli animali i farmaci che noi umani dovremo poi iniettarci nelle vene. Quest’industria si chiama “Covance” e utilizza come cavie soprattutto scimmie, scimmiette le cui immagini possono essere viste da chiunque richieda il video segretamente registrato da un infiltrato animalista all’interno della sua struttura; è vero, Covance utilizza per lo più scimmie, ma ciò non toglie comunque che possa avere degli interessi nella questione. L’ipotesi di un traffico internazionale di animali da laboratorio non appare quindi tanto astratta. Gli animali, chiusi nelle gabbie, non possono reagire. Se riuscissero a scappare noi uomini li sederemmo, li narcotizzeremmo, li drogheremmo, con i tranquillanti che sugli animali stessi abbiamo in passato sperimentato. Gli animali, chiusi nelle gabbie, non possono reagire. Noi si.
Per la dignità animale.